Acqua, da bene universale a fonte di business

Pubblicato il 9 ottobre 2006

La reperibilità dell’acqua solo apparentemente è frutto della disuguaglianza della natura. Nella realtà l’uomo ci mette, eccome, del suo e il bene più prezioso della Terra è sempre più spesso assoggettato alle regole del business più sfrenato. Così, mentre in Occidente si consumano milioni di bottiglie di acqua minerale, nel resto del pianeta ogni giorno muoiono 15mila bambini per mancanza di acqua potabile. “Una strage silenziosa paragonabile alla caduta di 50 boeing”, sostiene il professore Riccardo Petrella, intervenuto ieri al primo Lunedì dell’ambiente, organizzati da Aera, la Onlus rotariana che si occupa di problemi ambientali.

Il percorso che ha portato il professor Petrella, consulente alla Commissione europea e docente universitario, a diventare un ideologo dell’acqua parte da una constatazione molto pratica: da quando dieci anni fa è stato privatizzato il servizio di acquedotti in Italia, anche da noi sta succedendo, su scala meno drammatica, quello che succede nelle altre parti del mondo. “Il bene più elementare sta diventando fonte di business – dice Petrella – perché nessuno vuol riconoscere l’acqua come bene universale. In questo hanno colpa le nazioni, che pretendono di avere dominio territoriale sul suolo che occupano e quindi si arrogano il diritto di gestire l’acqua per i loro cittadini”. Succede così che in Italia la Puglia, terra senza fonti idriche, debba pagare l’acqua alla Campania e alla Basilicata. Così come la Cina conquista il Tibet perché vuole assicurarsi un bacino di acqua sufficiente per tutto l’avvenire della sua sterminata popolazione.

Il dibattito, moderato dal presidente di Aera Giancarlo Nicola e dal presidente del Comitato scientifico dell’area Nord Carlo Tribuno, si è svolto nella sede dell’Umanitaria a Milano e ha infiammato la sala di addetti ai lavori e comuni cittadini intervenuti. In molti si sono chiesti come fare per diminuire la sperequazione e come combattere l’assalto dell’industria che da anni ha intrapreso azioni di marketing per aumentare i consumi di acqua imbottigliata. “I produttori hanno intuito che c’era da vendere – ha rivelato Petrella – e si sono gettati a capofitto nel mercato che oggi è quello in Europa che spende di più in pubblicità, dopo il settore auto. Ma non c’è tutto questo bisogno di acqua in bottiglia. È diventato uno status symbol. Per noi occidentali sarebbe sufficiente moderare i consumi”. Ma con un atteggiamento più consapevole si sgonfierebbe l’enorme bolla speculativa che da qualche tempo è in atto sul tema, visto che in Svizzera sono addirittura disponibili dei fondi internazionali sull’acqua che per gli analisti sono i più redditizi al momento.

Ci sono zone nel mondo, come l’Amazzonia, dove pur essendoci molte sorgenti, la popolazione muore perché non riesce a usufruirne. Anche se solo il 3% dell’acqua presente sul pianeta è potabile, un utilizzo corretto secondo gli esperti permetterebbe la sopravvivenza per tutti. Petrella ne è convinto: “In atto c’è una campagna di terrore. Il Nevada ha creato 42 laghi artificiali perché Los Angeles ha un consumo pro-capite giornaliero di 5mila litri d’acqua. Tutti vogliono far credere che la risorsa sta diventando rara, per farla pagare di più, ma in realtà è solo male utilizzata”.

Come nella stessa Milano, dove ogni abitante spreca 500 litri al giorno, e in Lombardia, dove il 65% delle risorse idriche è impiegato per l’irrigazione. Anche su questo lo studioso ha da ridire: “A che serve irrigare con il sistema a pioggia se poi il 40% di quello che si getta nei campi va perso nell’aria?”.

Esempi virtuosi da seguire comunque ce ne sono. Come i Paesi nordici, tipo la Svezia, dove una corretta informazione e un rigoroso rispetto verso l’elemento che ci tiene in vita ha fatto scendere i consumi personali giornalieri a circa 100 litri di acqua al giorno.

I Lunedì dell’ambiente organizzati da Aera proseguiranno a novembre con un incontro il giorno 6 con il professor Giuseppe Sfligiotti dell’Osservatorio europeo sull’energia.