Biodiesel: 67 milioni ai Paesi poveri dalla Fao

Pubblicato il 12 giugno 2006

Tra i fattori che spingono verso questo cambio di direzione del mercato energetico mondiale vi sono i rischi ambientali – l’aumento del riscaldamento globale e i limiti imposti dal Protocollo di Kyoto alle emissioni di biossido di carbonio e di altri gas serra – e la crescente consapevolezza da parte dei governi del pericolo di una totale dipendenza dal petrolio.

L’interesse della Fao per la bioenergia scaturisce dall’impatto positivo che le coltivazioni per i biocombustibili potrebbero avere sulle economie rurali e per le opportunità che potrebbero offrire ai Paesi a reddito più basso nella diversificazione delle proprie fonti energetiche.

La Fao ha quindi previsto prestiti per 67 milioni di euro per spingere i produttori subsahariani a orientarsi verso la produzione di biocombustibili. Dalle colture di granoturco e zucchero è possibile infatti ricavare l’etanolo, un biocombustibile liquido, fonte trainante di bioenergia rinnovabile. Questa soluzione ben si accorderebbe con la chiusura che i mercati europei hanno imposto a questi Paesi.

Bruxelles ha limitato le quote del Kenya a 5.000 tonnellate l’anno di zucchero, molto meno del potenziale locale. Quindi, grazie alla produzione di canna da zucchero e di granturco, così come di piante erbacee come il sorgo, i Paesi subsahariani potrebbero trasformarsi in grandi esportatori di combustibili estratti da risorse naturali rinnovabili. Gustavo Best, coordinatore del settore energetico della Fao ha dichiarato che l’importanza della bioenergia è che la sua produzione può essere adeguata all’ambiente locale e ai bisogni energetici. È per questo motivo che la Fao ha deciso di finanziare questi progetti che aiutano gli agricoltori locali, l’economia del Paese e, nello stesso tempo, danno una mano all’ambiente.