Squinzi: la contrapposizione tra sviluppo e tutela ambientale paralizza la crescita del Paese

Pubblicato il 7 luglio 2008

Un settore industriale che anticipa i tempi e avverte prima le esigenze che poi divengono obbligo per tutti. Questa è l’Industria chimica, che da tempo considera la ricerca come un elemento irrinunciabile di crescita, che sceglie lo sviluppo sostenibile come percorso volontario, come testimoniano i bilanci socio-ambientali degli ultimi 20 anni: -69% delle emissioni in acqua, -92% delle emissioni in aria, -63% degli infortuni per milione di ore lavorate. La chimica anticipa anche rispetto gli obiettivi fissati sulle emissioni di CO2 dal Trattato di Kyoto con un calo del 30% sul 1990, rispetto a quello fissato del 6,5%.

“Per tutte queste ragioni, la chimica può essere considerata come un laboratorio, dove studiare e applicare ‘ricette’, ovvero azioni concrete di politica industriale, che poi possano essere valide per tutta l’Industria”. Così Giorgio Squinzi, presidente di Federchimica, nel corso dell’assemblea annuale della Federazione nazionale dell’industria chimica.

Rivolgendosi a Claudio Scajola, Ministro dello Sviluppo Economico, e a Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, intervenuti all’assemblea, Squinzi ha lamentato che “poco o nulla è cambiato nelle ultime tre legislature nel rapporto tra imprese e normativa, tra manager e burocrazia, perché c’è ancora una troppo forte dose di cultura anti-industriale nelle Istituzioni, nei Ministeri e, in generale, nell’opinione pubblica”.

Al Ministro Scajola, il presidente di Federchimica chiede anzitutto un alleggerimento degli oneri burocratici per le imprese, che “pesano l’1% del PIL e si può stimare che l’impatto sulla chimica sia almeno 3-4 volte tanto”. Per una efficace semplificazione normativa, l’industria chimica chiede norme più razionali e comprensibili, in grado di ridurre gli oneri amministrativi e i tempi burocratici. Condizione essenziale un indirizzo politico costante, basato sulla stabilità del Governo e condiviso da tutte le forze parlamentari, in quanto punta al benessere generale del Paese. “Sia ben chiaro – ha aggiunto Squinzi – non vogliamo minori controlli, ma interlocutori più responsabili”.

“In Italia non può essere sufficiente una politica di lungo periodo come quella coraggiosa e necessaria che il Governo ha indicato sul nucleare” ha proseguito Squinzi. “La chimica è il settore che accoppia di più intensità energetica e apertura alla concorrenza estera e di conseguenza è quello più penalizzato da un costo dell’energia di oltre il 30% superiore a quello che si paga pochi metri oltre i nostri confini. Può essere complesso delocalizzare un impianto a migliaia di chilometri dall’Italia, ma è diventato molto facile e conveniente farlo in Francia o Spagna! Ci vogliono interventi di impatto immediato”.

Alcune proposte: rimuovere le limitazioni alla Borsa elettrica, come l’assenza di un mercato a termine, e rendere possibili contratti di lungo periodo; ridurre gli “oneri impropri” e rivedere la distribuzione degli oneri tra fiscalità generale ed energetica; chiarire gli aspetti normativi relativi alla distribuzione di energia nei poli industriali.

Nelle relazioni industriali la chimica ha anticipato soluzioni e tempi. “Siamo certi che il nuovo presidente di Confindustria nelle scelte che saranno fatte per la revisione delle regole contrattuali terrà anche conto del nostro esempio – ha proseguito Squinzi – e riuscirà a concordare con le Organizzazioni Sindacali un modello flessibile, nel quale le diverse realtà settoriali possano valorizzare quanto di positivo costruito negli anni e migliorare eventuali situazioni di criticità. Alla luce della nostra esperienza, rimaniamo convinti che il Contratto Nazionale è la cornice ideale per soluzioni di ampio respiro”.

“All’interno del Codice la questione delle bonifiche dei siti contaminati si trascina irrisolta da quasi un decennio. Gli studi più recenti indicano fino a 30 miliardi di euro le risorse necessarie per le bonifiche in Italia: se si dovesse applicare l’Analisi del Rischio – come negli altri Paesi UE – questo ingente ammontare si potrebbe ridurre fino alla metà, senza pregiudicare la salute dei cittadini e la protezione dell’ambiente.

Lo scorso aprile sono stati stanziati 3 miliardi di euro per il recupero dei siti di “preminente interesse pubblico per la riconversione industriale”, risorse che, seppur insufficienti, sono un segnale molto positivo. Rimane comunque enorme lo sforzo economico che si richiede alle imprese su questo versante.

Chimica europea e Reach
La chimica europea sta perdendo la sua leadership: se la performance del 2007 negli scambi internazionali dovesse continuare a ripetersi, nel 2012 il saldo attivo della chimica europea si sarà annullato e con esso 40 miliardi di euro (equivalenti a 2/3 della produzione chimica italiana) andrebbero in fumo invece che in posti di lavoro. “Noi consideriamo il regolamento Reach come il necessario contributo della chimica allo sviluppo sostenibile – ha dichiarato Squinzi. “Tutte le imprese chimiche stanno producendo sforzi importanti per adempiere al Regolamento nel modo migliore. Purtroppo il Reach si sta dimostrando una complicazione gigantesca, che a breve creerà un ingolfamento ciclopico e costi pressoché insostenibili, in particolare per molte piccole e medie aziende. Senza dimenticare che il Regolamento impatterà direttamente anche sull’attività dei nostri utilizzatori che, nonostante il nostro impegno nel sensibilizzarli, sembrano non aver ancora compreso l’entità e la gravità del problema.

“Non dobbiamo avere paura dei cambiamenti”. ha concluso Giorgio Squinzi. “Occorre mutare registro e dare più fiducia e peso a chi se lo merita, e la Chimica è senz’altro tra questi”.



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