L’analisi chimica e i beni culturali: “vecchio” e “nuovo”

Pubblicato il 14 febbraio 2005

Alcuni anni orsono un illustre chimico fiorentino, antesignano dell’impiego della nostra disciplina per l’indagine dei beni culturali, ammoniva noi (allora) giovani e comunque neofiti del settore a non limitare la nostra attenzione ai soli dati analitici strumentali (e citava come esempio il piccolo “shift” di un segnale spettroscopico, bollando al tempo stesso con caustico umorismo l’uso gratuito del termine straniero), perdendo così di vista la globalità del problema. Problema che non è solo quello di identificare, poniamo, i pigmenti e i leganti usati in un’antica miniatura, ma di verificare se le nostre ipotesi sono sostenute dai ricettari dell’ars illuminandi piuttosto che dal registro delle spese dove i monaci che la eseguirono probabilmente annotarono pure l’acquisto di questo o quell’altro materiale prezioso.

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