Un unico approccio per un unico ambiente
Periodicamente si indicono conferenze cui seguono convenzioni e summit: dal clima alle acque, dalla popolazione alla fame, dall’effetto serra alla desertificazione e, in tempi più recenti, dagli effetti della diminuzione dello strato dell’ozono al niño, dalle biotecnologie agli organismi geneticamente modificati. Nel 1992, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, svoltasi a Rio, 182 Stati, tra cui anche l’Italia, si sono impegnati a mettere a punto strategie nazionali ed internazionali di sviluppo duraturo. Tale definizione venne data nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, detta Commissione Brundland (dal nome del suo presidente) e riconosciuta da tutti: si tratta di uno sviluppo “che risponde ai bisogni del presente senza compromettere le capacità delle generazioni future di rispondere alle loro necessità”. Le generazioni future, come quelle attuali, hanno diritto ad un ambiente intatto. Occorre, tuttavia, non pensare ad uno sviluppo durevole solo in termini di protezione ambientale. Nel concetto di sviluppo duraturo sono contenuti elementi di prosperità economica, come soddisfazione dei propri fabbisogni materiali e spirituali, nonché di solidarietà nella ripartizione equa dei beni economici. È su queste tre dimensioni (ambientale, economica e sociale) che si fonda lo sviluppo durevole. Ma quali sono gli strumenti che permettono di misurare, nei differenti settori, i progressi realizzati lungo la strada di uno sviluppo durevole? Già nel 1996 la Commissione delle Nazioni Unite aveva proposto un sistema, a dire il vero un po’ complesso, di 134 indicatori. L’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, sulla base di questa lista, scelse 46 indicatori, sia sociali, sia economici, sia ecologici. Manca tuttavia un metodo per valutare l’efficacia delle misure ambientali.
Le linee guida dell’ONU, utilizzate per valutare lo sviluppo sostenibile, sono basate sui seguenti indicatori di sostenibilità: impiego di energie rinnovabili, programmi di riciclo dei materiali, campagne di riduzione del consumo di acqua, gas ed elettricità, certificazioni ambientali, incentivi per le auto ecologiche, educazione ambientale nelle scuole, diritti dei consumatori. L’Italia a che punto si trova? Il nostro Paese ha cercato di perseguire e/o rafforzare una politica in grado di assicurare un avvenire ecologico, economico e sociale? In questi anni sono stati realizzati numerosi progetti e prese decisioni in ordine ai principi dell’Agenda 21, il piano d’azione per il ventunesimo secolo adottato a Rio. L’Italia è stato uno dei primi paesi ad elaborare interventi per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, principale causa dell’effetto serra; ha elaborato norme, anche se come recepimento di direttive dell’Unione Europea, di notevole contenuto ambientale relativamente ai rifiuti, alla bonifica dei terreni contaminati, all’inquinamento atmosferico ed elettromagnetico; ha tentato di produrre un codice unico sulle acque. I risultati, però, non sono sufficienti. Nel sondaggio che l’Agenzia ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) ha promosso fra 150 Paesi, per verificare le linee guida dello sviluppo sostenibile, l’Italia è risultata tra gli ultimi, anche se molte nazioni, come Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, hanno preferito non sottoporsi all’esame. A dieci anni dalla Conferenza di Rio, si terrà, dal 26 agosto al 4 settembre 2002, a Johannesburg in Sudafrica, il secondo Summit della Terra. I capi di governo di 180 stati e 50 mila delegati e giornalisti parteciperanno a questo evento per progredire insieme sulla strada dello sviluppo sostenibile.
Da una parte si farà un bilancio completo delle azioni che erano state indicate nel 1982, in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro, ed in particolare dell’Agenda 21, e dall’altra si deciderà sulle misure da prendere per il futuro. Le attività ed i progetti che, in prospettiva del Summit di Johannesburg, il nostro Paese ha elaborato come strategia 2002 per uno sviluppo sostenibile, non si è in grado di conoscere. Tra questi si inseriscono, comunque, le iniziative per “l’anno internazionale delle montagne”, proclamato dalle Nazioni Unite in vista della crescente consapevolezza che la montagna è un ecosistema da salvaguardare nella sua unitarietà. Del resto l’Agenda 21 adottata a Rio contiene, nel suo capitolo 13, un contributo importante sullo sviluppo sostenibile nelle regioni di montagna. I problemi ecologici globali che minacciano sempre più il nostro ambiente di vita, non permettono di affrontarli da soli. L’inquinamento è senza frontiere: gli uragani sono provocati da cambiamenti climatici mondiali, gli alimenti che vengono importati possono contenere sostanze pericolose. Tutto il mondo è coinvolto. Gli Stati, contro le minacce globali, non hanno altra scelta che agire insieme. È quanto hanno dimostrato, con successo, alcuni protocolli, quale ad esempio quello di Montreal relativo alla protezione dello strato dell’ozono, e le azioni che hanno spinto il Giappone ad aderire al trattato di Kyoto e gli Stati Uniti a rivedere l’atteggiamento nei confronti delle emissioni di anidride carbonica, dopo che il rapporto dell’Agenzia americana per il controllo dell’ambiente ha ammesso i danni da essa provocati. Qualche passo avanti è stato fatto. La protezione mondiale dell’ambiente coinvolge tutti e ciascuno di noi. Non possiamo restare indifferenti.