Pneumatici biologici per ridurre l’effetto serra

Pubblicato il 15 marzo 2002

Nell’immediato futuro parte del nerofumo e della silice contenuti nei pneumatici Goodyear saranno sostituiti con un polimero derivante dall’amido di mais. L’utilizzo del filler biopolimerico consentirà una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera: riducendo la resistenza al rotolamento del pneumatico si otterrà un minor consumo di carburante e un sensibile abbattimento dell’inquinamento acustico, oltre che atmosferico.

La Commissione Europea e l’industria automobilistica europea dopo la Conferenza di Kyoto hanno raggiunto un accordo per ridurre le emissioni di CO2 dalle automobili. In linea con quell’accordo, Goodyear sta sviluppando un nuovo concetto di “pneumatico ecocompatibile”, costruito attraverso l’utilizzo, come filler, di un polimero biologico derivato dall’amido di mais, e focalizzando l’attenzione sull’abbassamento delle emissioni di CO2 (principali cause dell’effetto serra e del possibile riscaldamento globale del pianeta) e sull’utilizzo di risorse rinnovabili, sostituendo materiali a base di petrolio con altri, derivanti da colture agricole.
Costruire nuovi pneumatici dall’amido vuol dire riuscire a raggiungere una serie di obiettivi specifici. Per quanto concerne la protezione e prevenzione ambientale, si possono elencare quattro tra le conseguenze principali derivanti dall’applicazione del nuovo pneumatico:
• minore resistenza al rotolamento, quindi minor consumo di carburante;
• riduzione del rumore, quindi minore inquinamento acustico;
• riduzione delle emissioni di CO2, quindi minor inquinamento atmosferico;
• miglioramento dei processi di produzione, quindi minor consumo di energia.

Il mais come materia prima

Le sfide della Divisione Ricerca e Sviluppo Goodyear fanno sempre capo a una delle seguenti fasi del ciclo di vita globale del prodotto:
– scelta delle materie prime e sfruttamento/utilizzazione delle stesse;
– produzione;
– utilizzo;
– metodologia di smaltimento.
Ognuna delle fasi elencate ha un proprio bilancio energetico e di massa e determina effetti diversi sull’ambiente. Il primo passo all’interno del ciclo di vita di un prodotto industriale è quindi la scelta delle materie prime, che rappresenta anche le fondamenta per i passi successivi ed è basilare dal punto di vista dell’ambiente. La fonte cui Goodyear guarda, come “prima scelta base” per arrivare a un pneumatico ambientalmente compatibile, è una risorsa rinnovabile: il filler biopolimerico. Analizzando l’intera produzione agricola, il prodotto che meglio risponde al target prefissato è il mais. Stupisce che il mais, dal punto di vista alimentare uno dei beni nutritivi principali del mondo, possa diventare a breve anche un importante prodotto nell’industria del pneumatico. Dal mais si può ricavare amido, proprio come avviene nelle industrie alimentari. Da qui in poi, però, seguono fasi di trasformazione diverse: l’amido normale viene trattato termomeccanicamente, in modo da ottenere la configurazione a goccia (assetto “droplet”); quindi le “gocce” vengono trattate con un agente di natura idrofila, capace di creare la struttura complessa necessaria al livello dell’interfaccia filler-gomma. Alla fine, il filler biopolimerico derivato, per tenere il confronto con filler tradizionali, deve soddisfare tre criteri di consolidamento:
• morfologia del filler;
• interazioni all’interfaccia filler/matrice (concetto di membrana);
• proprietà visco-elastiche sia a basse sia ad alte frequenze, a deformazioni piccole e grandi.

Morfologia del filler

L’energia accumulata e dissipata in prossimità dell’interfaccia del filler è elevata e dipende dalla morfologia del filler stesso. Più la forma approssima un’ellisse e più è grande la sollecitazione in prossimità dell’interfaccia. Al contrario, più la forma approssima una sfera e minore è l’energia accumulata, e poi dissipata, in prossimità dell’interfaccia. Un filler a forma sferica, dunque, di grande interesse per cicli di isteresi ad ampiezza limitata, rappresenta la morfologia ideale nel caso di pneumatici biopolimerici. Questo spiega l’importanza di avere sotto controllo la microstruttura del filler biopolimerico. In conclusione, l’obiettivo è quello di utilizzare un filler che abbia una morfologia del tipo “a goccia”.

Concetto di membrana

La questione da analizzare riguarda come possano essere rinforzate le proprietà del filler, mantenendo cicli di isteresi di ampiezza limitata. Utilizzando un agente chimico coesivo il filler può essere legato chimicamente alla matrice. Per costruire tale membrana, si può utilizzare, ad esempio, un silano. La sua natura idrofila, infatti, ne permette l’utilizzo come agente chimico coesivo per determinare così un’intima dispersione del filler e per legare il filler alla matrice polimerica; inoltre, previene fenomeni di flocculazione (flocculi di circa 20 mm, 100 volte più grandi delle molecole ad assetto “droplet” presenti nella situazione di intima dispersione) che occorrerebbero se non venisse utilizzato l’agente coesivo. In pratica, i gruppi ossidrili (OH) reagiscono con le molecole del silano e danno origine alla membrana. La membrana così originata è caratterizzata da uno spessore ben definito e da proprietà visco-elastiche adeguate.

Proprietà visco-elastiche

Confrontando i filler biopolimerici con quelli di tipo classico, i primi si comportano in modo diverso per quanto concerne la reazione a proprietà non lineari (figura 1). Come si può notare, alle basse sollecitazioni (0-120 MPa), ad ogni particolare sollecitazione corrisponde una reazione-deformazione del filler biopolimerico che risulta maggiore della corrispondente nel caso di filler tradizionali (di riferimento). In quell’intervallo, infatti, le interazioni di tipo filler-filler sono ancora deboli. Quando le sollecitazioni hanno intensità maggiore (oltre 120 MPa), ad ogni sollecitazione corrisponde una deformazione del filler biopolimerico che risulta essere minore di quella di riferimento. A mano a mano che aumenta l’intensità della sollecitazione, infatti, le interazioni polimero-filler diventano sempre più forti, limitando la deformazione conseguente. In conclusione, se si utilizza un filler biopolimerico, durante sollecitazioni elevate si guadagna in temini di controllo della rigidezza. Ovviamente il punto in cui si intersecano le due curve può essere modificato variando la frazione utilizzata del filler biopolimerico. Inoltre i filler biopolimerici si comportano in modo diverso per quanto concerne le performance sul bagnato e la resistenza al rotolamento (figura 2). Alle alte frequenze, fissata la temperatura (ad un valore inferiore a zero gradi centigradi), si nota che l’aderenza è maggiore nel caso di filler biopolimerico; ciò si traduce in miglioramento effettivo delle performance sul bagnato. Alle basse frequenze la situazione si capovolge: ora, per effettuare il confronto, si fissa la temperatura sopra il livello di zero gradi centigradi; nella situazione senza filler biopolimerico si ha maggiore opposizione al rotolamento, cioè con filler biopolimerico la resistenza al rotolamento risulta minore. Questo significa un migliore comportamento generale dal punto di vista della dissipazione di energia.