Edizione N° 21 del 12 dicembre 2006

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GE Sensing: le potenzialità di un analizzatore nello spazio di un trasmettitore
13/12/2006 Con un’elettronica certificata a sicurezza intrinseca, contenuta in una custodia con protezione IP67/Type 4X, l’HygroPro è ideale per la misura del contenuto di umidità nelle linee di gas naturale, nelle applicazioni petrolchimiche, di produzione energia elettrica, quali l’olio dei trasformatori o l’esafloruro di zolfo (SF6) e di altri gas industriali e applicazioni non acquose (acqua al di sotto del valore di saturazione). Grazie all’integrazione dei sensori di umidità, di temperatura e di pressione su una singola sonda, l’HygroPro riduce i costi d’installazione minimizzando il numero dei sensori, dei punti d’installazione nel processo e dei necessari cablaggi.

L’HygroPro include un display retroilluminato e una tastiera a sei tasti capace di mostrare contemporaneamente fino a tre parametri, consentendo una semplice navigazione del software. Utilizzando il nostro collaudato sensore di umidità all’ossido di alluminio, insieme a un sensore di temperatura e un trasduttore di pressione, l’HygroPro fornisce in tempo reale la misura del punto di rugiada e delle variabili calcolate come: ppmV nel gas, ppmW nel liquido, oppure grammi per Normal metro cubo nel gas naturale. Grazie all’orientabilità del display in quattro possibili configurazioni, la lettura è ottimale sia che esso sia montato sopra, sotto o lateralmente alla tubazione. La compattezza dell’HygroPro, in combinazione con il suo software avanzato, costituiscono un sicuro beneficio dove lo spazio risulta un elemento essenziale.

Atex: pompa pneumatica non metallica certificata Atex
13/12/2006 Costruita in polipropilene rinforzato con fibra di carbonio, questa nuova pompa garantisce il costo totale di gestione più vantaggioso sul mercato. La pompa impone nuovi standard di sicurezza e affidabilità, grazie ad un’efficienza e una potenza del quaranta per cento superiori rispetto ai prodotti esistenti.

Superando la tendenza del mercato, Ingersoll Rand è andata oltre e ha scelto una soluzione migliore rispetto al semplice sistema di carico in carbonio su modelli esistenti. Si tratta di una soluzione che impedisce alle parti mobili della pompa di essere soggette a scintille e correnti elettrostatiche, rendendo quindi la pompa stessa idonea alla certificazione Atex. Le parti a motore e le parti a contatto con il fluido sono state appositamente riprogettate insieme a nuovi utensili in modo da utilizzare polipropilene rinforzato in carbonio, un materiale conduttivo. Incoraggiati dalle migliaia di clienti che hanno già scelto le pompe pneumatiche a membrana di Ingersoll per la loro grande affidabilità, Ingersoll ha deciso di finanziare lo sviluppo di nuovi stampi internamente all’azienda, oltre alla riprogettazione di parti utilizzando questo straordinario nuovo materiale.

Il polipropilene rinforzato al carbonio assicura la totale conducibilità delle parti, evitando così le correnti elettrostatiche e garantendo i massimi livelli di sicurezza. Rispetto al semplice carico in carbonio delle parti, la soluzione di Ingersoll Rand offre numerosi vantaggi.

● Il fluido non viene contaminato dal carbonio. Il carico tradizionale in carbonio rilasciava piccole particelle di carbonio che andavano a contaminare il materiale trasferito.
● Le proprietà meccaniche offerte sono migliori; tra esse una maggiore resistenza alla frattura e all’impatto.
● La resistenza alla corrosione è ottima, garantendo protezione contro guasti prematuri in ambienti aggressivi.
● Migliora il rapporto forza-peso.

Le pompe EXP Atex soddisfano i requisiti specificati per il Gruppo II nella Direttiva 94/9/EC inerente le atmosfere potenzialmente esplosive. Sono disponibili sette modelli di pompa, con portata massima compresa tra 200 e 696 l/min e una pressione massima di scarico di 8,3 bar, nei formati da 1′, 1 ½’ e 2′.

Le nuove pompe Atex EXP offrono le comprovate prestazioni della gamma EXP. In particolare, sono caratterizzate da tempi di inattività, consumo energetico e costi di manutenzione estremamente ridotti, grazie all’innovazione unica di Ingersoll che evita stallo e formazione di ghiaccio.

notizie
Saras, principale raffinatore indipendente, rende noti i risultati del terzo trimestre 2006
17/11/2006

Il Gruppo Saras ha registrato un andamento positivo dei risultati nel terzo trimestre 2006, con un sostanziale incremento rispetto al secondo trimestre del 2006, grazie soprattutto al segmento raffinazione con la raffineria di Sarroch a pieno regime di produzione dopo l’importante ciclo di manutenzione programmata dello scorso trimestre. Da sottolineare inoltre buoni risultati del segmento generazione elettrica e del segmento marketing.

I ricavi sono aumentati del 36% rispetto a quelli del terzo trimestre 2005 e del 39% rispetto al trimestre precedente a causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi.

Il Comparable Ebit “proforma” ha registrato un aumento del 41% rispetto al secondo trimestre del 2006 (durante il quale è stata effettuata una importante manutenzione programmata in raffineria) ed è diminuito del 25% rispetto allo stesso trimestre del 2005 quando i margini di raffinazione hanno raggiunto i loro massimi storici a causa degli effetti degli uragani nelle regioni del Golfo del Messico.

Malgrado la diminuzione dell’Ebit, l’utile netto adjusted “proforma”, pari a 69,2 milioni di euro, è comunque superiore ai 60,8 milioni di euro dello stesso periodo del 2005 grazie alla riduzione degli oneri finanziari che nel 2005 includevano perdite su strumenti derivati non presenti nel terzo trimestre 2006. I primi nove mesi dell’anno registrano un aumento di 19,3 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Gli investimenti in immobilizzazioni includono l’investimento di 28 milioni di euro per l’acquisizione delle stazioni di servizio in Spagna.

Gli investimenti nel segmento raffinazione sono tornati a livello normale dopo l’aumento nel secondo trimestre causato dall’importante ciclo di manutenzione programmata.

La Posizione Finanziaria Netta alla fine del trimestre, pari a -187 milioni di euro (+117 milioni di euro rispetto al trimestre precedente), è fortemente diminuita grazie all’elevato flusso di cassa della gestione operativa del periodo (164 milioni di Euro) a cui ha contribuito una consistente riduzione del capitale circolante (71 milioni di euro) causata dalla flessione dei prezzi petroliferi.

Il margine di raffinazione di Saras ha raggiunto i 6,5 $/bl malgrado la fermata non programmata del reformer che ha avuto un impatto negativo sul margine pari a 0,6 $/bl (13 milioni di euro sull’EBITDA).

La prestazione della raffineria è stata buona e l’annunciato obiettivo di 200.000 ton/anno di incremento di produzione di gasolio autotrazione (ULSD) è stato raggiunto.

Nel terzo trimestre, malgrado la fermata non programmata del reformer, la produzione di gasolio autotrazione è aumentata di 104.000 tonnellate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La resa di gasolio autotrazione nel terzo trimestre è stata pari al 50,8% sul totale della lavorazione di grezzo, da confrontarsi con il 49,2% sia nel terzo trimestre del 2005 che nell’intero anno 2005. Un incremento di resa dell’1,6% corrisponde a circa 230.000 tonnellate per anno (utilizzando una lavorazione pari a 14,4 milioni di tonnellate per anno come nel 2005), ben al di sopra dell’obiettivo dichiarato di 200.000 tonnellate per anno. La media del grado API della miscela di grezzi (32,9) è stata la stessa del terzo trimestre del 2005 e dell’intero anno 2005 confermando che la produzione incrementale di gasolio autotrazione è sostanzialmente attribuibile all’aumento di conversione degli impianti.

L’efficacia della strategia del Gruppo è anche confermata dal fatto che sta migliorando il premio del margine di raffinazione Saras rispetto al benchmark EMC. Il premio è stato di 2,4 $/bl nel 2005, 3,7 $/bl nel primo trimestre del 2006, 3,0 $/bl nel secondo trimestre 2006, ed infine 3,7 $/bl nel terzo trimestre 2006.

Le lavorazioni della raffineria sono più alte in confronto a quelle del terzo trimestre 2005. Malgrado l’importante manutenzione del secondo trimestre 2006, le lavorazioni nei primi nove mesi dell’anno sono state inferiori di sole 267.000 tonnellate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

I numeri sopraesposti evidenziano una eccellente prestazione operativa: la produzione di elettricità è aumentata del 2,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e del 3,6% rispetto al trimestre precedente. Le tariffe sono aumentate dell’11% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e dello 0,9% rispetto al trimestre precedente.

DuPont Tate & Lyle Bio Products avvia la produzione di Bio-PDO in Tennessee
02/12/2006 DuPont Tate & Lyle Bio Products, LLC, una joint venture paritetica di DuPont e Tate & Lyle, ha annunciato le prime forniture di Bio-PDO dal suo impianto americano da 100 milioni di dollari. L’impianto di Loudon, che produce 1,3-propanediolo (Bio-PDO) da risorse rinnovabili – in questo caso dallo zucchero del mais – è la prima struttura al mondo a produrre questo innovativo prodotto biologico.

Per la produzione del Bio-PDO a base di mais anzichè di materie prime derivate dal petrolio, la joint venture si avvale di un processo di fermentazione proprietario, sviluppato congiuntamente da DuPont e Tate & Lyle. La produzione di Bio-PDO consuma il 40% in meno di energia e riduce le emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto al propanediolo a base di petrolio. La produzione di 45.000 tonnellate di Bio-PDO produrrà un risparmio energetico annuo pari a 45 milioni litri di benzina, equivalente al carburante necessario per 22.000 auto l’anno.

Le prime forniture di Bio-PDO sono state inviate a DuPont per la produzione del polimero DuPont Sorona e a un altro cliente che sta valutando la possibilità di produrre un nuovo prodotto industriale a base di Bio-PDO. Il Bio-PDO può essere usato in numerose applicazioni, da solo o come ingrediente di materiali solitamente a base di materie prime derivate dal petrolio.

La joint venture ha anche annunciato il lancio di due nuovi marchi per i prodotti a base di Bio-PDO: Zemea, per i prodotti destinati ai segmenti della cura personale e dei detergenti liquidi, con un alto livello di purezza e ridotto fattore di irritazione; e Susterra, per le applicazioni industriali, come i fluidi scongelanti, anti-gelo e termoconduttori, caratterizzato da biodegradabilità e bassa tossicità. Per ulteriori informazioni su Bio-PDO, Susterra o Zemea a base di propanediolo derivato dal mais, chiamare il numero +1-866-404-7933.

Il Bio-PDO è anche un ingrediente chiave di Sorona, l’ultima famiglia di polimeri di DuPont. Sorona è un polimero ad alte prestazioni che offre una combinazione unica di qualità per svariate applicazioni. Il polimero può essere utilizzato anche in numerosi altri segmenti, fra cui quello automobilistico, dell’arredo, del packaging e delle resine termoplastiche. Oggi, la fibra Sorona è prodotta da risorse petrolchimiche, ma nei primi mesi del 2007 sarà prodotta dal Bio-PDO, e sarà rinnovabile per il 40%.

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Saras, principale raffinatore indipendente, rende noti i risultati del terzo trimestre 2006
17/11/2006

Il Gruppo Saras ha registrato un andamento positivo dei risultati nel terzo trimestre 2006, con un sostanziale incremento rispetto al secondo trimestre del 2006, grazie soprattutto al segmento raffinazione con la raffineria di Sarroch a pieno regime di produzione dopo l’importante ciclo di manutenzione programmata dello scorso trimestre. Da sottolineare inoltre buoni risultati del segmento generazione elettrica e del segmento marketing.

I ricavi sono aumentati del 36% rispetto a quelli del terzo trimestre 2005 e del 39% rispetto al trimestre precedente a causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi.

Il Comparable Ebit “proforma” ha registrato un aumento del 41% rispetto al secondo trimestre del 2006 (durante il quale è stata effettuata una importante manutenzione programmata in raffineria) ed è diminuito del 25% rispetto allo stesso trimestre del 2005 quando i margini di raffinazione hanno raggiunto i loro massimi storici a causa degli effetti degli uragani nelle regioni del Golfo del Messico.

Malgrado la diminuzione dell’Ebit, l’utile netto adjusted “proforma”, pari a 69,2 milioni di euro, è comunque superiore ai 60,8 milioni di euro dello stesso periodo del 2005 grazie alla riduzione degli oneri finanziari che nel 2005 includevano perdite su strumenti derivati non presenti nel terzo trimestre 2006. I primi nove mesi dell’anno registrano un aumento di 19,3 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Gli investimenti in immobilizzazioni includono l’investimento di 28 milioni di euro per l’acquisizione delle stazioni di servizio in Spagna.

Gli investimenti nel segmento raffinazione sono tornati a livello normale dopo l’aumento nel secondo trimestre causato dall’importante ciclo di manutenzione programmata.

La Posizione Finanziaria Netta alla fine del trimestre, pari a -187 milioni di euro (+117 milioni di euro rispetto al trimestre precedente), è fortemente diminuita grazie all’elevato flusso di cassa della gestione operativa del periodo (164 milioni di Euro) a cui ha contribuito una consistente riduzione del capitale circolante (71 milioni di euro) causata dalla flessione dei prezzi petroliferi.

Il margine di raffinazione di Saras ha raggiunto i 6,5 $/bl malgrado la fermata non programmata del reformer che ha avuto un impatto negativo sul margine pari a 0,6 $/bl (13 milioni di euro sull’EBITDA).

La prestazione della raffineria è stata buona e l’annunciato obiettivo di 200.000 ton/anno di incremento di produzione di gasolio autotrazione (ULSD) è stato raggiunto.

Nel terzo trimestre, malgrado la fermata non programmata del reformer, la produzione di gasolio autotrazione è aumentata di 104.000 tonnellate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La resa di gasolio autotrazione nel terzo trimestre è stata pari al 50,8% sul totale della lavorazione di grezzo, da confrontarsi con il 49,2% sia nel terzo trimestre del 2005 che nell’intero anno 2005. Un incremento di resa dell’1,6% corrisponde a circa 230.000 tonnellate per anno (utilizzando una lavorazione pari a 14,4 milioni di tonnellate per anno come nel 2005), ben al di sopra dell’obiettivo dichiarato di 200.000 tonnellate per anno. La media del grado API della miscela di grezzi (32,9) è stata la stessa del terzo trimestre del 2005 e dell’intero anno 2005 confermando che la produzione incrementale di gasolio autotrazione è sostanzialmente attribuibile all’aumento di conversione degli impianti.

L’efficacia della strategia del Gruppo è anche confermata dal fatto che sta migliorando il premio del margine di raffinazione Saras rispetto al benchmark EMC. Il premio è stato di 2,4 $/bl nel 2005, 3,7 $/bl nel primo trimestre del 2006, 3,0 $/bl nel secondo trimestre 2006, ed infine 3,7 $/bl nel terzo trimestre 2006.

Le lavorazioni della raffineria sono più alte in confronto a quelle del terzo trimestre 2005. Malgrado l’importante manutenzione del secondo trimestre 2006, le lavorazioni nei primi nove mesi dell’anno sono state inferiori di sole 267.000 tonnellate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

I numeri sopraesposti evidenziano una eccellente prestazione operativa: la produzione di elettricità è aumentata del 2,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e del 3,6% rispetto al trimestre precedente. Le tariffe sono aumentate dell’11% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e dello 0,9% rispetto al trimestre precedente.

DuPont Tate & Lyle Bio Products avvia la produzione di Bio-PDO in Tennessee
02/12/2006 DuPont Tate & Lyle Bio Products, LLC, una joint venture paritetica di DuPont e Tate & Lyle, ha annunciato le prime forniture di Bio-PDO dal suo impianto americano da 100 milioni di dollari. L’impianto di Loudon, che produce 1,3-propanediolo (Bio-PDO) da risorse rinnovabili – in questo caso dallo zucchero del mais – è la prima struttura al mondo a produrre questo innovativo prodotto biologico.

Per la produzione del Bio-PDO a base di mais anzichè di materie prime derivate dal petrolio, la joint venture si avvale di un processo di fermentazione proprietario, sviluppato congiuntamente da DuPont e Tate & Lyle. La produzione di Bio-PDO consuma il 40% in meno di energia e riduce le emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto al propanediolo a base di petrolio. La produzione di 45.000 tonnellate di Bio-PDO produrrà un risparmio energetico annuo pari a 45 milioni litri di benzina, equivalente al carburante necessario per 22.000 auto l’anno.

Le prime forniture di Bio-PDO sono state inviate a DuPont per la produzione del polimero DuPont Sorona e a un altro cliente che sta valutando la possibilità di produrre un nuovo prodotto industriale a base di Bio-PDO. Il Bio-PDO può essere usato in numerose applicazioni, da solo o come ingrediente di materiali solitamente a base di materie prime derivate dal petrolio.

La joint venture ha anche annunciato il lancio di due nuovi marchi per i prodotti a base di Bio-PDO: Zemea, per i prodotti destinati ai segmenti della cura personale e dei detergenti liquidi, con un alto livello di purezza e ridotto fattore di irritazione; e Susterra, per le applicazioni industriali, come i fluidi scongelanti, anti-gelo e termoconduttori, caratterizzato da biodegradabilità e bassa tossicità. Per ulteriori informazioni su Bio-PDO, Susterra o Zemea a base di propanediolo derivato dal mais, chiamare il numero +1-866-404-7933.

Il Bio-PDO è anche un ingrediente chiave di Sorona, l’ultima famiglia di polimeri di DuPont. Sorona è un polimero ad alte prestazioni che offre una combinazione unica di qualità per svariate applicazioni. Il polimero può essere utilizzato anche in numerosi altri segmenti, fra cui quello automobilistico, dell’arredo, del packaging e delle resine termoplastiche. Oggi, la fibra Sorona è prodotta da risorse petrolchimiche, ma nei primi mesi del 2007 sarà prodotta dal Bio-PDO, e sarà rinnovabile per il 40%.

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Applicazione del Protocollo di Kyoto in Italia: i primi bilanci
12/12/2006 Poche informazioni precise, confusione sulle tempistiche, continui cambiamenti nella normativa. La mancanza di chiarezza è la principale difficoltà incontrata dalle imprese coinvolte nella prima fase di attuazione della direttiva europea Emissions Trading (2003/87/CE), attraverso la quale viene applicato in Europa il Protocollo di Kyoto. Le stesse imprese esprimono dubbi sull’efficacia del Protocollo nel contribuire al miglioramento dei problemi ambientali, ma allo stesso tempo evidenziano una conoscenza piuttosto scarsa dei suoi contenuti e dei meccanismi che ha introdotto per contrastare i cambiamenti climatici.

Lo rivela una recente indagine sul tema “Le imprese italiane e il Protocollo di Kyoto” realizzata da TNS Infratest e InSintesi per conto dell’ente di certificazione internazionale DNV (Det Norske Veritas), da anni impegnato nelle attività di verifica indipendente delle emissioni di gas serra. L’indagine è stata condotta attraverso 100 interviste telefoniche a un campione rappresentativo delle aziende dei settori industriali interessati dalla Direttiva Emissions Trading, vale a dire energia, siderurgia, cemento, calce, vetro, laterizi e carta.

I risultati della ricerca evidenziano chiaramente che la principale difficoltà con cui le aziende hanno dovuto fare i conti è stata una generale mancanza di chiarezza, nel senso di carenza di informazioni precise (per il 37% degli intervistati), confusione sulle tempistiche (20%), continui cambiamenti e poca chiarezza nella normativa (12%). Da non sottovalutare anche il peso degli adempimenti burocratici cui le aziende sono state costrette, che è stato indicato come il problema maggiore dal 20% degli intervistati. Mentre l’aumento dei costi rappresenta la difficoltà principale solo per il 14% degli intervistati. È tuttavia comune alla maggior parte delle aziende la consapevolezza che l’adeguamento alla normativa e la sua applicazione comporteranno un aggravio dei costi nel medio e lungo periodo: ne è convinto l’80% degli intervistati. Ma solo il 30% pensa di non riuscire a rientrare da queste spese. La maggioranza, invece, riuscirà a compensare i maggiori oneri: il 36% taglierà i costi, principalmente attraverso uno sforzo di miglioramento dell’efficienza e di adeguamento degli impianti, mentre il 25% aumenterà i prezzi. Il 17,5% non sa.

Il 60% degli intervistati ritiene che la prima fase di applicazione delle direttiva Emissions Trading abbia inciso poco o per niente sulla posizione competitiva della propria azienda. D’altro canto, il 70% esprime dubbi sulla reale efficacia del Protocollo di Kyoto ai fini della soluzione del problema del riscaldamento globale. Così come il 65% sostiene che non apporti alcun beneficio né offra alcuna opportunità alle aziende coinvolte.

Va sottolineato che questo giudizio sul Protocollo si accompagna a una conoscenza piuttosto scarsa dei suoi contenuti e dei meccanismi che ha introdotto per contrastare i cambiamenti climatici. Solo il 48% dichiara di conoscere il sistema di scambio delle quote di emissione (Emissions Trading), mentre percentuali ancora più basse raccolgono gli altri due meccanismi: Joint Implementation (40%) e Clean Development Mechanism (35%).

Per quanto riguarda la seconda fase di applicazione della Direttiva Emissions Trading (2008-2012), il 50,5% degli intervistati prevede di raggiungere gli obiettivi assegnati ricorrendo all’acquisto di quote di emissione e il 41,5% riducendo le proprie emissioni. Come? Investendo nel miglioramento dell’efficienza e nelle energie alternative o puntando su combustibili da fonti rinnovabili. Solo il 4,9% ricorrerà a progetti di Joint Implementation e saranno ancora meno le aziende che investiranno in iniziative basate sul Clean Development Mechanism (3,1%).

Il 74% degli intervistati dichiara di essere a conoscenza del nuovo Piano Nazionale di Assegnazione (PNA) delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012, che al momento della realizzazione dell’indagine era stato reso noto da poco. Nel merito, oltre il 49% lo giudica per vari motivi insoddisfacente e iniquo, mentre il 21,2% lo considera accettabile e l’11,1% non vi trova alcuna novità rispetto al Piano precedente. Gli altri non commentano o si riservano un giudizio dopo un esame più approfondito.

Infine, l’83% degli intervistati ritiene che negli altri Paesi europei le aziende abbiano affrontato in modo più efficace l’adeguamento alla direttiva Emissions Trading. In particolare, Germania e Francia sono considerati i Paesi più “virtuosi”.

Per ogni azienda è stato intervistato il responsabile dell’applicazione della normativa europea e nazionale di attuazione del Protocollo di Kyoto. La figura aziendale cui è affidato questo incarico è il responsabile ambiente nel 55% dei casi. È un impegno non trascurabile al quale vengono dedicate fino a 5 ore alla settimana nel 38% dei casi e più di 5 ore settimanali nel 34% dei casi. Vi sono coinvolti in misura significativa anche amministratori delegati, direttori generali e direttori finanziari

“I risultati della ricerca confermano che il Sistema Paese ha affrontato gli impegni del Protocollo di Kyoto con ritardo e senza una vera visione strategica. Un ritardo di cui hanno ovviamente sofferto le aziende coinvolte. Va aggiunto che in Italia le imprese sono mediamente di piccole dimensioni e si trovano spesso in difficoltà nell’applicare normative e politiche internazionali. Tuttavia, è importante sottolineare come la prima fase della direttiva Emissions Trading, che è una sorta di ‘test’ in vista della concreta applicazione del Protocollo nel periodo 2008-2012, stia sostanzialmente raggiungendo i propri obiettivi: orientare le aziende a considerare le emissioni di gas serra come ‘asset’ e a valutare strategie di comprevendita sul mercato, nonché investimenti e conversioni di tecnologie”, ha commentato Zeno Beltrami, Responsabile Progetti Climate Change, DNV Italia.

Energie rinnovabili: mercato in grande espansione, l’eolica occupa il 70% del mercato totale
12/12/2006 Lo sviluppo di questi mercati è stato favorito dalla Direttiva europea sulle fonti di energie rinnovabili che nel settembre 2001 introdusse obiettivi diversi per ciascun Paese dell’Unione Europea, spiega l’analista di Frost & Sullivan Saranya Sundaram. Questa normativa stabilisce obiettivi indicativi per il consumo di energia elettrica generata da fonti di energia rinnovabile, con un obiettivo generale per l’UE fissato al 22% nel 2010.

Questo supporto a livello legislativo è arrivato al momento opportuno considerato che il mercato delle energie rinnovabili sta vivendo un’importante fase di sviluppo e richiede supporto continuo da parte di consumatori e investitori. Sicuramente, anche la crescente minaccia dei cambiamenti climatici ha aumentato l’interesse nei confronti delle energie pulite inducendo significativi e rapidi investimenti in energie alternative da parte di grandi imprese.

Nonostante sia favorito da questi due fattori, il mercato pone, però, numerose sfide. Le aziende del settore, infatti, devono tenere conto di un investimento iniziale di capitale notevole, della necessità di sviluppare nuove linee di trasmissione e distribuzione, della crescente domanda di esportazione e dei prezzi molto alti delle materie prime. Nel settore dell’energia solare, inoltre, non solo le materie prime hanno prezzi proibitivi, ma anche scarseggiano.

“La carenza di materie prime – spiega l’analista di Frost & Sullivan – può essere superata acquisendo le aziende dei fornitori. Questa tattica potrebbe aiutare le aziende ad avere la crescita più rapida fra le fonti di energia pulita in Europa nei prossimi 20 anni”.

Il mercato delle energie eoliche, intanto, si sta espandendo sempre di più’, occupando il 69.4% del totale del mercato delle energie rinnovabili nel 2005. Si prevede che nei prossimi anni le aziende europee che si occupano di energia eolica aumenteranno le vendite soprattutto nei Paesi asiatici. La domanda da parte di questi utenti si è assestata attorno al 40% nel 2005, indotta principalmente dai crescenti fabbisogni di Cina e India.

Per maggiori informazioni su questa ricerca e per ricevere una brochure elettronica in lingua inglese – in cui sono indicati produttori, utenti, e altri soggetti industriali con un quadro delle più recenti analisi del mercato europeo delle energie rinnovabili è necessario inviare un’email a Chiara Carella, Corporate Communications, all’indirizzo chiara.carella@frost.com.

Sviluppo locale e qualità della vita: se il Pil da solo non basta
12/12/2006 L’occasione per rispondere è stata la presentazione del Primo Rapporto di Benessere Economico Sostenibile (ISEW), inserita all’interno di due giorni di confronto tra studiosi e attori pubblici intitolati “Per uno sviluppo sostenibile della Provincia di Modena” che si sono svolti a ottobre.

Il dibattito, aperto dai saluti del presidente della Provincia di Modena, Emilio Sabattini, e dal presidente del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, Emilio D’Alessio, è stato introdotto da Alberto Caldana, assessore all’Ambiente della Provincia di Modena e si è articolato in tre sessioni di lavoro.

La sessione Ambiente ha visto il contributo del prof. Tiezzi, dell’Università di Siena, che a partire dalla constatazione che “non esiste crescita infinita in un pianeta finito” ha presentato l’indagine eMegetica che la Provincia di Modena, prima in Italia, ha svolto sul proprio territorio. Il dibattito, al quale ha partecipato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF, ha dimostrato il valore degli studi di sostenibilità ambientale, non solo per rilevare le risorse spese per alimentare i flussi di energia del territorio, ma per pianificarne l’utilizzo in un’ottica sostenibile, soprattutto nell’attuale scenario globale dove l’utilizzo delle risorse non è equidistribuito.

La sessione Welfare si è aperta con la presentazione dei risultati del Primo Rapporto ISEW svolto sulla Provincia. L’Index of Sustainable Economic Welfare, è l’indicatore che nasce proprio con lo scopo di integrare l’informazione che deriva dal Pil, cercando di mettere in luce, al di là della crescita economica, la qualità dello sviluppo, ponderando i consumi privati sulla base di fattori di diseguaglianza distributiva e tenendo conto dei costi correlati alle ricadute sociali e ambientali dello sviluppo. Una visione che si è integrata con quella di studiosi di rilievo nazionale sulle tematiche del welfare, quali Luca Beltrametti, dell’Università di Genova, Costanzo Ranci, del Politecnico di Milano, Paolo Bosi, dell’Università di Modena.

La sessione Economia, aperta dal vice presidente della Provincia di Modena, Maurizio Maletti, si è concentrata sugli scenari di competitività post-industriali, che pongono nuove sfide per i territori: da una parte l’investimento in fattori immateriali, quindi la capacità di attivare conoscenze, competenze, relazioni, come illustrato dagli interventi di Pier Luigi Sacco, dell’Università IUAV di Venezia e di Carlo Trigilia, dell’Università di Firenze dall’altra, la sua capacità di costruire nuovi modelli di urbainizzazione a basso consumo energetico, come illustrato dall’intervento di Federico M. Butera, del Politecnico di Milano.

A conclusione dei lavori, Alberto Caldana, Assessore all’Ambiente della Provincia di Modena, ha sottolineato l’importanza di proseguire in un percorso che consenta di trovare momenti di i sintesi tra prospettive ambientali, sociali ed economiche. “Occorre mettere in campo politiche che possono governare il territorio non in maniera settoriale”, ha sostenuto l’Assessore, attraverso la lettura degli scenari di cambiamento del territorio e la costruzioni si strumenti come pianificazione strategica del suo sviluppo, nella costante “ricerca di un equilibro – come ha sintetizzato il prof. Tiezzi – tra il capitale naturale, vera risorsa e bene, e il capitale prodotto dall’uomo”.

Rifiuti, le discariche “scoppiano”, in arrivo più di 100 nuovi inceneritori
12/12/2006 Il mercato legato al waste-to-energy, gli inceneritori con recupero energetico o termovalorizzatori, sta vivendo un momento di grande slancio grazie anche all’attenzione politica sulla materia. Waste-to energy, infatti, si sta rivelando estremamente importante per alleviare la pressione sulle discariche e per eliminare rifiuti che non possono essere riciclati. Non solo. Un altro vantaggio degli impianti waste-to-energy è che l’energia generata viene utilizzata per alimentare lo stesso impianto o a favore della comunità locale. Un mercato questo che si sta sviluppando anche in Italia, Paese con una storia difficile in materia ambientale, con gravissime emergenze rifiuti, come quella verificatasi in Campania, e continui sequestri di discariche abusive.

Un’analisi di Frost & Sullivan stima che il mercato europeo degli impianti waste-to-energy ha prodotto introiti pari a 1,8 miliardi di dollari nel 2005 e che, nel giro di quattro anni, questa cifra raggiungerà i 2,7 miliardi di dollari.

“Normative sulle discariche e volumi di rifiuti in costante e impressionante aumento stanno spingendo molti Paesi europei a rivedere le strategie di gestione dei rifiuti e a sviluppare strategie efficaci dal punto di vista dei costi e soluzioni sostenibili – spiega John Raspin, direttore dei settori Energia e Ambiente per Frost & Sullivan -. La Direttiva europea sulle discariche, che pone obiettivi per la riduzione dei rifiuti biodegradabili urbani (BMW) da mandare in discarica, offre un enorme potenziale di crescita”. Questa direttiva, associata alla carenza di spazio nelle discariche in Europa, sta spingendo a guardare a strategie alternative per lo smaltimento dei rifiuti, fra cui appunto waste-to-energy. Se la produzione di BMW dovesse continuare a crescere, sarà necessario dirottare maggiori quantità di rifiuti dalle discariche ad altri impianti ed è per questo che waste-to-energy diventerà sempre più necessaria.

Attualmente, più di 400 impianti di waste-to-energy in Europa processano circa 50 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani all’anno. Numeri che sono destinati ad aumentare come effetto della Direttiva Discariche dell’Unione Europea. Si prevede, infatti, che oltre 100 nuovi impianti o linee saranno installati in Europa entro il 2012.

Nonostante i vantaggi di questa tecnologia, si registra una notevole opposizione da parte di gruppi ambientalisti e comunità locali riguardo alla sicurezza del processo di incenerimento dei rifiuti. “Gli effetti delle emissioni sulla salute pubblica, l’aumento di traffico e di inquinamento legato al trasporto dei rifiuti agli impianti di incenerimento rappresentano gravi preoccupazioni che possono ostacolare l’espansione del mercato – spiega John Raspin –. E dunque i rischi che i progetti possano essere cancellati rappresentano una sfida significativa”.

È per questa ragione che assume un’importanza determinante per i fornitori di questo mercato lavorare in stretta collaborazione con le comunità locali e con i Comuni per promuovere i progetti. Un altro fattore da non sottovalutare è l’aumento di competitività in quanto i mercati stanno assistendo a un crescente numero di fusioni e acquisizioni.

Per maggiori informazioni su questa ricerca e per ricevere una brochure elettronica in lingua inglese – in cui sono indicati produttori, utenti, e altri soggetti industriali con un quadro delle più recenti analisi del mercato europeo degli impianti waste-to-energy – bisogna inviare un’email a Chiara Carella, Corporate Communications, all’indirizzo chiara.carella@frost.com.

Corso Diiar: rischio ambientale nelle tematiche di inquinamento dei terreni e delle falde
12/12/2006 Nell’ambito del programma di formazione permanente post-lauream del Politecnico di Milano, nel periodo 26 febbraio – 15 marzo 2007 è previsto lo svolgimento di un corso di aggiornamento sul tema dell’analisi di rischio ambientale nelle tematiche di inquinamento dei terreni e delle falde organizzato dal Diiar.

Il corso è articolato su quattro distinti moduli, di cui uno teorico (obbligatorio) e tre applicativi (opzionali). Il modulo teorico si propone obiettivi di formazione e di aggiornamento sul tema proposto, con una panoramica del contesto nazionale ed europeo; il primo modulo applicativo è dedicato allo sviluppo del Modello Concettuale per un caso di studio e i successivi due, svolti in aula informatizzata in gruppi di massimo 20 persone, sono dedicati all’impiego per il caso di studio rispettivamente dei software Rome e Giuditta (II modulo applicativo) e Risc ed Rbca Tool Kit (III modulo applicativo).

Il corso si rivolge a tecnici e funzionari di enti pubblici e privati, di società di ingegneria e di studi professionali, di aziende coinvolte in problemi di contaminazione dei suoli, nonché a ricercatori impegnati nel settore delle bonifiche. L’iscrizione è riservata a laureati in discipline tecniche; i tecnici non laureati saranno eventualmente ammessi, limitatamente ai posti disponibili. Le quote di iscrizione, esenti da Iva, sono fissate, al netto di spese e commissioni bancarie, in 700,00 euro per il modulo teorico, 300,00 euro per modulo applicativo I e 700,00 euro ciascuno per moduli applicativi II e III, o in 2.000,00 euro per il corso completo.

Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito web o possono essere richieste direttamente alla segreteria del corso (tel. 02 23996413, fax 02 23996499, e-mail: giovanna.foti@polimi.it).

Cinquantesimo anniversario per Asco Pompe, società del Gruppo Finder
12/12/2006 Nel corso degli anni l’Azienda ha visto un rapido e crescente sviluppo sia nel numero sia nella tipologia dei prodotti, nonchè nei marchi importati, a completamento della già ampia gamma in catalogo.

Acquistata nel 1986 è entrata, così, a far parte di Finder Group che oggi è un Gruppo consolidato nel suo settore dove opera da oltre 50 anni con cinque sedi produttive (in Italia a Merate, Rozzano, Caponago, e all’estero a Lione e in Cina) con circa 250 addetti in Europa, un fatturato consolidato nel 2005 di circa 44 milioni di euro e una previsione di 50 milioni a fine 2006, una diffusione dei prodotti in oltre 50 Paesi in tutto il mondo.

Nel 2000 Asco Pompe ha creato la Divisione Service – che opera per tutte le aziende del Gruppo Finder – un Centro altamente specializzato per la riparazione e la revisione dei prodotti venduti per fornire, a quei clienti che lo desiderano, un’assistenza completa per tutto il loro parco pompe e compressori. Un’iniziativa vincente che consolida la filosofia dell’azienda che per tradizione è stata sempre orientata al customer care, sia nella fase di pre che post vendita impiegando molte energie, nel corso degli anni, al fine di ottimizzare il servizio nei confronti della propria clientela.

Sempre nell’ottica di garantire un servizio ancor più efficiente al cliente, Asco Pompe si è ristrutturata in diverse Divisioni. È stata adottata, quindi, non più una logica di prodotto e di marchio rappresentato, ma è stato privilegiato il settore di applicazione. Sono nate così le Divisioni: Industria, Food, Trattamento acque e Strumentazioni.

Nel 2001 ha acquistato la DDA, azienda produttrice di agitatori industriali e distributore del marchio Dosapro Milton Roy, leader nella produzione di pompe dosatrici, nel mercato del trattamento delle acque.

Nel 2002 è stata creata la Asco Filtri, società partecipata al 51%, che si propone quale azienda che produce e commercializza filtri di processo nel settore industriale, operando sia in Italia sia all’estero. Nel giro di quattro anni la Asco Filtri si è rivelata un “caso di successo” in quanto ha visto un rapidissimo sviluppo affermandosi, oggi, tra i leader di mercato, con una previsione di fatturato 2006 di 7, 5 milioni di euro.

Grazie all’acquisizione di tali aziende, Asco Pompe è oggi in grado di soddisfare qualsiasi esigenza nel “fluid handling”, rappresentando il più grosso distributore di pompe industriali in Italia, con 35 dipendenti, 24 marchi leader di mercato a livello mondiale, un fatturato a fine 2006 di € 11,2 milioni, raddoppiato negli ultimi 5 anni.

In occasione del 50° anniversario Asco Pompe ha invitato le principali Case da cui importa da tutto il mondo; dopo una visita della sede e una presentazione della Società gli ospiti hanno trascorso alcuni giorni in Franciacorta dove si è svolto un simpatico Torneo di Golf e successivamente una visita alle Cantine della Tenuta La Montina a Monticelli Brusati a cui ha fatto seguito una cena nella splendida cornice di Villa Baiana.

Air Liquide recapita al Cern il più grande dispositivo criogenico del mondo
13/12/2006 Dopo aver installato e testato gli ultimi elementi a fine ottobre 2006, Air Liquide ha consegnato la proprietà dell’intero sistema di fornitura di elio liquido LHC al Cern, completando così un programma di lavoro della durata di 22 mesi.

La dimensione eccezionale di tale sistema criogenico e i livelli di performance attesi fanno di questo progetto una vera a propria sfida tecnologica. Il sistema di distribuzione criogenico di oltre 800 mila litri di elio è a forma circolare con una circonferenza di 27 km, posizionato in un tunnel a circa 100 metri nel sottosuolo. Tale sistema criogenico permette di alimentare con elio superfluido a una temperatura di -271 °C (1,9 K), i 1.700 magneti superconduttivi che fanno parte dell’acceleratore di particelle LHC.

Perché queste temperature estreme? Tali magneti producono un campo magnetico intenso, in grado di tenere i due fasci di particelle nel circuito circolare e assicurare la loro collisione. I materiali dei magneti dell’acceleratore di particelle presentano le loro proprietà superconduttive a una temperatura non inferiore ai -264 °C. Il raffreddamento dell’elio a -271 °C permette di ottimizzare le performance e la stabilità dei magneti. L’elio superfluido è l’unico fluido al mondo che può essere raffreddato a una temperatura così bassa.

Affrontando tale sfida tecnologica, industriale e umana, Air Liquide ha fornito la maggior parte dei sistemi di distribuzione, oltre ai gas (elio liquido, argon liquido e azoto) e ha sviluppato una competenza unica in termini di servizio, soprattutto per assicurare la manutenzione e garantire l’integrità del sistema. Il Cern, infatti, non può permettere che l’acceleratore di particelle si fermi inaspettatamente, anche per un solo giorno. La costruzione di tale sistema, unico al mondo, richiede 3 mila elementi, realizzati in Francia, Italia, Spagna e Portogallo con una precisione misurata in decimi di millimetri.

Pirelli: monitoraggio dell’inquinamento con sensori innovativi
13/12/2006 Pirelli Labs, il centro di ricerca avanzata del Gruppo Pirelli, e l’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR-IIA), hanno presentato un progetto di monitoraggio in tempo reale della qualità dell’aria e dei livelli di inquinamento elettromagnetico e acustico che avrà luogo nella città di Parma fino al maggio 2007. Tale attività sarà condotta attraverso tecnologie sperimentali innovative e riguarderà il tessuto urbano e la zona decentrata nei pressi dello svincolo della autostrada A1.

Nel dettaglio lo studio prevede la mappatura del territorio, in otto postazioni urbane e due in zona periferica, con dispositivi miniaturizzati, sviluppati da Pirelli Labs (che integrano fino a cinque sensori a ossidi semiconduttori), in grado di rilevare e trasmettere in tempo reale concentrazioni di gas inquinanti quali monossido di carbonio, biossido d’azoto e ossidi di azoto. A questi dispositivi il Cnr affiancherà sensori per la misura di polveri fini, dei livelli di rumore, con analisi delle frequenze, e di inquinamento elettromagnetico. L’insieme delle centraline costituirà una mini-rete collegata via Gsm a un server centrale in grado di rendere disponibili in tempo reale i risultati del monitoraggio.

La sperimentazione si inserisce nell’ambito di un Accordo Programmatico tra l’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IIA) e il Ministero dell’Ambiente, d’intesa con il Comune di Parma e con Pirelli Labs.

Questa nuova filosofia di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico e ambientale si propone di offrire soluzioni complementari a quelle convenzionali e caratterizzate da elevata flessibilità e facilità di utilizzo, oltre che bassi costi e invasività, pur mantenendo un elevato standard qualitativo. In tale modo sarà possibile incrementare il numero e la rappresentatività dei punti di osservazione fornendo ai soggetti responsabili strumenti efficaci per il monitoraggio dell’inquinamento ambientale nei centri urbani.

Il comitato Leonardo premia il presidente di Federchimica
13/12/2006 Promuovere l’Italia come Sistema Paese significa metterne in rilievo le doti di imprenditorialità, creatività artistica, raffinatezza e cultura che si riflettono nei suoi prodotti e nel suo stile di vita; il Comitato, frutto dell’iniziativa di un gruppo di imprenditori, artisti, scienziati e uomini di cultura con l’appoggio dell’ICE (Istituto Nazionale per il Commercio Estero) e della Confindustria, ha istituito i Premi Leonardo Qualità Italia da assegnare ogni anno a leader d’azienda che abbiano registrato importanti successi sui mercati internazionali. I premiati sono stati definiti “ambasciatori dell’immagine dell’Italia nel mondo” per il loro ruolo internazionale di particolare valore e per i risultati conseguiti a testimonianza dell’eccellenza del lavoro italiano.

Alla cerimonia erano presenti tra le altre alte autorità dello Stato e delle Istituzioni il presidente di Confindustria Luca di Montezemolo e il presidente dell’Istituto del Commercio Estero, ambasciatore Umberto Vattani.

La scelta di conferire quest’anno il premio a Giorgio Squinzi nasce da diverse motivazioni.

Dal 1937 la famiglia Squinzi ha trasformato Mapei da piccola azienda in una multinazionale operante con successo nel mondo nel settore dei prodotti chimici per l’edilizia.

Nel 1978 Mapei inizia il processo di internazionalizzazione con la prima società estera in Canada.

Nel 1984 Giorgio Squinzi diventa amministratore unico dia Mapei con una politica industriale mirata su tre strategie: specializzazione, internazionalizzazione e innovazione.

Nel 1998 è nominato Cavaliere del Lavoro.

Inoltre nel brillante curriculum di Giorgio Squinzi sono da ricordare alcuni importanti riconoscimenti ottenuti nel mondo associativo e accademico.

Nel 1997 è eletto presidente di Federchimica, incarico che ricopre fino al 2003.

Nel 2002 ha ottenuto dal Politecnico di Milano la laurea Honoris Causa in Ingegneria Chimica.

Dal giugno 2005 è nuovamente al vertice della Federazione Nazionale dell’Industria Chimica.

Dal settembre 2006 è anche vicepresidente del Cefic, la Confederazione delle industrie chimiche europee.

Il Gruppo Mapei ha raddoppiato il giro d’affari nell’ultimo quinquennio. Il fatturato consolidato previsto nel 2006 è di 1,2 miliardi di euro, con oltre 4.500 dipendenti, di cui il 12% è impiegato nella ricerca. Gli investimenti in ricerca e sviluppo superano i 60 milioni di euro annui.

Attualmente il Gruppo industriale è composto da 53 aziende con 46 stabilimenti produttivi, di cui 7 operanti in Italia e gli altri nel resto del mondo in 23 paesi nei 5 continenti con un fatturato totale di 1,4 miliardi di euro. Nell’ultimo triennio i maggiori investimenti sono stati effettuati negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Spagna e in Polonia.

Nel corso del 2006 sono partiti importanti investimenti in Russia, Cina, Vietnam e Dubai finalizzati a essere operativi nel 2007.

PlasticsEurope nomina Wilfried Haensel direttore esecutivo
13/12/2006 John Taylor, presidente di PlasticsEurope ha ringraziato Nancy Russotto “per l’impegno e l’importante contributo fornito durante tutti questi anni” e ha dato il benvenuto a Haensel aggiungendo che “il settore conta su di lui per rafforzare la propria mission ovvero: riconoscere la Plastica come il materiale del XXI secolo”.

Haensel, di nazionalità tedesca lascia il Gruppo Basf dopo 22 anni di esperienza principalmente nel settore della plastica: dirigerà PlasticsEurope con i suoi cinque uffici regionali in Europa dalla sede di Bruxelles.

Haensel, di formazione economica, ha ricoperto diversi ruoli nelle sedi mondiali del Gruppo, in particolare è stato responsabile commerciale delle schiume (polistirolo) e degli stirenici, nelle regioni dell’Asia pacifica e, più recentemente, vice presidente del Gruppo per le plastiche stireniche in Europa.

PlasticsEurope rappresenta i produttori di materie plastiche in Europa. All’associazione aderiscono oltre 60 società che rappresentano il 90% della produzione dei polimeri in Europa (Unione Europea e non). La filiera della plastica in Europa – compresi i trasformatori e i produttori di macchine – occupa oltre 1.6 milioni di persone, con un fatturato globale annuo di circa 160 miliardi di euro. PlasticsEurope opera attraverso sei uffici decentrati: la sede di Bruxelles e cinque centri regionali situati in Francia, Germania, Italia, Spagna e Gran Bretagna.

Cefic elogia RadiciGroup per il responsible care
13/12/2006 Il questionario Responsible Care è stato distribuito a 22 aziende della filiera chimica di RadiciGroup (dagli intermedi ai polimeri, alla plastica, alle fibre).

I dati riportati sono stati aggregati per singoli siti produttivi e hanno incluso gli interscambi che normalmente avvengono all’interno delle aziende del Gruppo.

Le 22 aziende oggetto della rilevazione Responsible Care nel 2005 hanno, quindi, generato in totale un fatturato di circa 1.060 milioni di euro, dato lavoro a 4.024 persone, investito circa 55 milioni di euro e realizzato 506.200 tonnellate di prodotti per un totale di 6.513.362 ore lavorate.

A ogni responsabile di sito produttivo e ai suoi collaboratori è stato chiesto di rispondere a domande su cinque argomenti diversi: investimenti e spese effettuate per ambiente, sicurezza e salute; sicurezza e salute sui luoghi di lavoro; protezione ambientale ed emissioni in acqua e atmosfera; consumi energetici, fonti energetiche utilizzate, gestione dei rifiuti; sicurezza nella logistica e prodotti movimentati.

prodotti
Laxmi lancia Sonomax in Italia: la soluzione innovativa contro il problema del rumore
12/12/2006 Dati statistici provano che i problemi all’udito e la sordità (ipoacusia) sono al primo posto nella lista di malattie professionali irreversibili nel mondo industrializzato, i cui danni, oltre a essere umanamente gravi, se misurati in termini economici risultano estremamente dispendiosi. Tuttavia una corretta prevenzione può ridurre il loro impatto del 100%. È per questo motivo che le organizzazioni mondiali si stanno muovendo verso l’introduzione di normative sempre più restrittive a tutto beneficio della tutela della salute dei lavoratori. La prima indicazione relativa al contenimento dei valori di rumorosità al di sotto dei parametri critici specificati è ottenibile agendo sulla sorgente del rumore tramite la realizzazione di protezioni o isolamenti acustici. Laddove però questo risulti non applicabile o insufficiente ecco che l’unica soluzione per la salvaguardia dell’operatore è l’utilizzo del dispositivo individuale (DPI).

Un dispositivo di protezione acustica efficace deve permettere la modulazione dell’ abbattimento riportando la percezione uditiva a dispositivo indossato nella “zona di sicurezza” (intervallo compreso tra 75 e 80 dB). Se, infatti, una protezione eccessiva posizionerebbe l’operatore nella fascia di iper protezione non consentendogli né di percepire gli avvisi di pericolo né di poter comunicare, una troppo bassa lo collocherebbe invece nella zona a rischio di danno acustico permanente.
Un ulteriore aspetto da non sottovalutare è la comodità dei dispositivi da indossare. Più questi sono comodi e meno inducono gli utilizzatori a rimuoverli per fastidi fisici, riesponendoli così al danno.

Laxmi propone i dispositivi SonoCustom, una soluzione innovativa che si avvale della tecnologia canadese SonoMax. Si tratta di otoprotettori personalizzati realizzati su misura e direttamente sul posto, con una procedura che elimina l’alto numero di imperfezioni e controindicazioni derivanti dal calco. Lo speciale silicone trattato al plasma completamente anallergico con cui vengono realizzati garantisce una conformazione individuale priva di punti di frizione che ne permette l’utilizzo prolungato in pieno comfort.

Ma la vera innovazione di SonoCustom consiste nella possibilità di determinare esattamente il livello di abbattimento sonoro nelle condizioni operative reali. La misurazione eseguita da due microfonometri controllati da un software brevettato, posti rispettivamente all’interno e all’esterno del dispositivo indossato permette di determinare il reale valore di abbattimento acustico raggiunto su ogni utente e per ogni canale uditivo. Questo tipo di valutazione diretta elimina ogni incertezza generata da una analisi statistica.

Successivamente, tramite l’opportuno inserimento di filtri meccanici selettivi, viene apportata una modulazione dell’attenuazione che porta il livello di intensità sonora all’orecchio nell’intervallo ottimale di 75-80 dB, consentendo pertanto sia una agevole comunicazione, sia una reale protezione da danni permanenti. Questo approccio rende possibile correlare e quindi certificare univocamente l’efficienza di ciascun DPI rispetto ad ogni singolo operatore.