Edizione N° 7 del 14 settembre 2005

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Energie e Ambiente

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Edizione N° 7 del 14 settembre 2005


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Effetti dell’ozono sulla vegetazione
14-09-2005 L’ozono è un inquinante gassoso secondario, generato negli strati bassi dell’atmosfera in seguito alla reazione fotochimica delle radiazioni UV con alcuni inquinanti primari presenti nelle emissioni da traffico e industriali, costituenti del cosiddetto “smog” fotochimico.

Irritazione e possibili lesioni delle vie respiratorie sono gli effetti segnalati per la salute umana da studi epidemiologici svolti in Europa e negli Usa negli ultimi 10 anni. Studi condotti sulla vegetazione hanno evidenziato danni economici, ecologici e genetici su colture agrarie, foreste e vegetazione naturale in quasi tutti i Paesi europei e nordamericani. Gli standard di qualità dell’aria per la protezione degli ecosistemi forestali e agricoli dall’ozono sono stati frequentemente e ripetutamente superati negli ultimi anni in molte stazioni di monitoraggio italiane.

La Convenzione internazionale sull’inquinamento transfrontaliero a lunga distanza firmata a Ginevra nel 1979 da oltre 40 Paesi ha dato vita ad accordi attuativi come il protocollo di Göteborg (Svezia) del 1999, relativo all’ozono troposferico e ratificato da tutti i membri dell’Unione Europea.
L’Un-Ece ha adottato l’indice Aot40 (Accumulated exposure Over a Threshold of 40 ppb) come indicatore di esposizione per la vegetazione e ha stabilito come livelli critici i valori di 10.000 ppb/h per la vegetazione forestale e di 3.000 ppb/h per le colture.

La Direttiva UE 2002/03 (recepita dal governo italiano con il DM 183/04) ha introdotto questo indicatore di dose cumulata quale parametro critico di soglia stabilendo quindi un livello-obiettivo, da raggiungersi entro il 2010, di 18.000 µg/m³ h (come media di 5 anni) e un obiettivo a lungo termine (indicativamente il 2020) di 6.000 µg/m³ h.

Essa prescrive le metodologie di campionamento, rilevazione e analisi dei dati e il calcolo degli indicatori statistici e di esposizione. Gli Stati Membri devono istituire una rete di stazioni di misura e un programma di monitoraggio, con l’obbligo di fornire una valutazione delle cause che hanno determinato il superamento dei limiti. Secondo questo approccio, che affronta la valutazione di rischio solo in termini territoriali, il superamento delle soglie indicate di esposizione comporterebbe un rischio potenziale di danni in termini sia economici sia biologici ed ecologici.

Tuttavia, già da qualche anno la comunità scientifica ha avanzato dubbi che questo criterio possa essere esteso anche in aree geografiche diverse da quelle in cui era stato a lungo studiato e validato (Paesi dell’Europa centrale). Ciò sia perché diversa è la genetica delle specie coltivate e delle popolazioni forestali, sia perché assai differenti possono essere le condizioni ambientali (soprattutto meteo-climatiche) che influenzano la riposta della vegetazione agli inquinanti atmosferici.
Le osservazioni di monitoraggio sulle condizioni delle foreste a livello europeo evidenziano che il danno da ozono realmente osservato sulla vegetazione, rispetto a quello potenziale stimato con l’indicatore Aot40, è superiore nei Paesi dell’Europa settentrionale, e inferiore nei Paesi dell’area mediterranea, con una sottostima del rischio nel Nord Europa e una sovrastima nei Paesi dell’Europa meridionale.

Alla luce di queste osservazioni gli organismi internazionali (Un-Ece e UE) hanno proposto che i dati relativi alle concentrazioni ambientali di ozono debbano essere corretti sulla base di fattori di stress ambientale locale, in grado di influenzare sia l’assunzione reale di ozono (attraverso la regolazione dell’apertura degli stomi fogliari) sia i meccanismi di difesa delle piante. L’impatto dell’ozono sulla vegetazione è infatti più strettamente legato alla quantità di assorbita attraverso gli stomi che alla semplice esposizione alla concentrazione atmosferica. Questa dose “biologicamente attiva” dipende, oltre che dalle caratteristiche genetiche delle diverse specie, dalle condizioni ambientali che influenzano la fisiologia della pianta.

Nel meeting di esperti svoltosi a Göteborg (in ambito Un-Ece) nel novembre 2002 vi è stato un generale accordo sul fatto che solo l’analisi dei flussi di ozono (cioè la velocità istantanea con cui la superficie delle piante assorbe l’ozono) può condurre a una stima biologicamente significativa del rischio ozono.

Questo approccio detto di Secondo Livello è quello attualmente utilizzato da alcuni progetti di ricerca italiani che analizzano il coinvolgimento di numerosi parametri ambientali addizionali, in relazione alla loro capacità di influenzare l’apertura stomatica e quindi la risposta finale della vegetazione.

All’inizio di quest’anno i diversi gruppi di ricerca (Università, Cnr, Corpo Forestale, Ersaf Lombardia) hanno dato vita a un coordinamento che oltre a condividere le esperienze metodologiche si è dato l’obiettivo di portare l’esperienza italiana in sede europea mettendo a disposizione delle autorità competenti (Ministero dell’Ambiente e Ministero dell’Agricoltura) i dati raccolti.

Per il novembre del 2005 infatti, è convocata a Obergurgl (Austria) un’importante conferenza della Convenzione sull’inquinamento transfrontaliero a lunga distanza (Clrtap) per stabilire le basi tecnico-scientifiche sulla scorta delle quali aggiornare il protocollo di Göteborg. L’obiettivo principale di questa conferenza consiste nella validazione dell’approccio di Secondo Livello e del concetto di flusso applicati alla stima del rischio ozono per la vegetazione.

Editoriale apparso sulla rivista Inquinamento n. 74 – settembre 2005, a firma di Antonio Tagliaferro di Esaf Lombardia.

Direttiva Ue: ridurre il consumo per gli apparecchi elettrici
14-09-2005 Per tutti i beni di consumo alimentati a corrente elettrica, dalle lavastoviglie al forno a microonde, dai computer agli impianti tv e hi fi, l’Unione europea ha voluto imporre una riduzione del consumo al “minimo necessario” per il loro funzionamento.

La direttiva, redatta da Frederique Ries, eurodeputato liberale eletto in Belgio, pur escludendo i veicoli a motore perché soggetti a normative specifiche, non risparmia alcun articolo venduto sul mercato europeo, alimentato a elettricità, e anzi individua otto settori di applicazione. Più precisamente si tratta degli impianti di riscaldamento e di produzione di acqua calda, dei sistemi di motore elettrico, di ogni tipo di illuminazione domestica o per il settore terziario, degli apparecchi domestici e per ufficio, dell’elettronica per il consumo e di ogni tipo di sistema di raffreddamento o riscaldamento, ventilazione o condizionamento dell’aria.

Apparentemente inoffensivi, i computer, come gli aspirapolvere o anche come le semplici lampadine, assorbono, tutti insieme, il 30% dell’energia primaria consumata in Europa e producono circa 200 milioni di tonnellate di anidride carbonica, corrispondenti a più del 40% delle emissioni totali di CO2 presente nell’atmosfera del nostro continente. Un dato, questo, che fa riflettere, se si pensa che corrisponde all’inquinamento totale di un Paese con più di 15 milioni di abitanti come l’Olanda.

Secondo il documento proposto dalla Commissione europea e adottato finalmente dal Consiglio Ue, che riunisce i 25 ministri dell’ambiente, e dall’Europarlamento, l’imposizione di norme più severe in tema di efficacia energetica permetterà all’Unione europea di ridurre entro il 2010 l’emissione annuale di ben 180 milioni di tonnellate di CO2, pari oggi all’inquinamento che produce un Paese di medie dimensioni come il Belgio.

L’insieme delle norme varate a Strasburgo si applicherà, ovviamente, sia ai beni prodotti in Europa sia a quelli importati. E in caso di non conformità un prodotto potrà essere vietato e ritirato dal mercato a opera delle autorità di controllo nazionali competenti. Ma i fabbricanti dovranno anche provvedere a uno studio di impatto ambientale per tutto il ciclo vitale dei loro prodotti, anche se le piccole e medie imprese beneficeranno di specifiche agevolazioni per la stesura di tale studio giudicato da alcuni come eccessivamente gravoso sul bilancio del produttore.

Non si esclude, pertanto, un netto aumento di prezzi alla vendita dei prodotti presenti sul mercato, che tuttavia, secondo gli esperti dell’esecutivo di Bruxelles, sarebbe ricompensato dal forte risparmio nelle bollette di energia elettrica a favore dei consumatori. Ma tali restrizioni non devono spaventare i nostri produttori perché la direttiva mira a far entrare nel mercato solo prodotti di qualità e a incentivare le fabbriche europee a migliorare la loro produzione diventando allo stesso tempo più competitive.

Nel corso del dibattito è emerso che il 90% della produzione di lampade messe sul mercato nell’Ue sono di fabbricazione cinese, mentre Turchia e Giappone fanno da padroni in settori come quello dei frigoriferi e dei climatizzatori. Nuove opportunità, dunque, per il rilancio delle aziende comunitarie, che potranno finalmente specializzarsi su beni di alta qualità, anche se diversi Paesi, tra cui l’Italia, hanno manifestato delle perplessità alla Commissione europea circa la messa in vigore troppo repentina (si parla del 2007) dell’intero pacchetto legislativo, oltre ad aver segnalato che debba essere inizialmente il settore pubblico a svolgere un ruolo di rilievo nel contribuire ai risparmi energetici, in modo da dare un esempio al settore privato e domestico.

Diversi i commenti degli addetti ai lavori. Frederique Ries, come deputato europeo membro della Commissione ambiente e relatrice del documento legislativo, si è detta soddisfatta per essere riuscita a trovare un accordo, a livello europeo, senza bisogno della “costosa” procedura di conciliazione tra Parlamento e Consiglio e ha dichiarato che la direttiva approvata è in perfetta sintonia con gli accordi di Kyoto. La Ries ha anche voluto tranquillizzare i cittadini dell’Unione dicendo loro che il risparmio annuale sulla bolletta dell’elettricità sarà di almeno 100 euro, mentre rivolgendosi al mondo dell’impresa ha assicurato che il suo lavoro nel quadro della strategia di Lisbona sarà un trampolino per l’industria e non un freno, come hanno detto alcuni.

Ma anche il mondo dell’industria rappresentato dall’Eicta (European Industry Communication Tecnologies Association), in cui sono federate le italiane Anie e Assinform, del gruppo Confindustria, si è detto soddisfatto per la direttiva entrata in vigore. “L’industria è pronta a progettare prodotti in grado di contribuire allo sviluppo sostenibile e alla protezione dell’ambiente”, afferma Mark Mac Gann, direttore generale di Eica. “La legislazione che l’Ue oggi ci impone è un appropriato compromesso tra il voler stimolare la competitività e il dover proteggere l’ambiente”. Più scettici invece gli ambientalisti dell’Eeb (European Environmental Bureau) che avrebbero voluto andare più in là, specialmente su temi come la riciclabilità dei prodotti elettronici o come la possibilità di permettere agli Stati membri di adottare misure più restrittive rispetto al minimo imposto dall’Ue, al fine di incentivare l’innovazione ambientale e non solo la libertà di movimento delle merci.

Notizia pubblicata sulla rivista Inquinamento n. 74 – settembre 2005, a cura di Stefano Valentino e Enrico Maria Mayrhofer.

Responsabilità sull’inquinamento del sottosuolo
14-09-2005 D’ora in poi, spetterà agli Stati membri il compito di stabilire la lista degli “inquinanti potenziali” e di fissare le soglie ammissibili delle stesse sostanze inquinanti. Ma poiché delle direttive specifiche erano già in vigore, come quelle che trattano di alcune fonti d’inquinamento come i nitrati, i pesticidi e i biocidi, il testo adottato dall’aula di Strasburgo non chiede agli Stati membri di stabilire dei “valori limite”, ma insiste su delle “norme di qualità delle acque sotterranee”.

Sulla tempistica, gli Stati membri hanno l’obbligo di inviare entro il 22 giugno 2006 alla Commissione europea le liste contenenti le sostanze inquinanti e la Commissione, oltre a poter proporre delle modifiche, dovrà approvare o respingere i metodi di misurazione proposti dagli Stati membri. L’insieme di questi dati sarà riesaminato di tre anni in tre anni.

Endress+Hauser ha acquisito Stip
14-09-2005 Endress+Hauser, mettendo a disposizione un’organizzazione da tempo consolidata, diventa da subito il riferimento per ogni necessità commerciale e tecnica relativa ai prodotti sviluppati con il marchio Stip, tra i quali gli analizzatori Cod (Richiesta chimica di ossigeno), Bod (Richiesta biochimica di ossigeno) e le sonde multiparametriche per torbidità, Sac (Coefficiente di assorbimento spettrale), Cod e sedimentabilità dei fanghi. In particolare il pacchetto comprende anche il Toc (Carbonio organico totale) Isco a ossidazione UV.

Ma l’offerta non si limita ai prodotti: sistemi di monitoraggio e automazione, servizi per il supporto alla manutenzione e consulenza tecnico-applicativa permettono di offrire soluzioni complete volte a incrementare l’efficienza dei processi, riducendone i costi operativi.

Hach Lange integra Danfoss Analytical
14-09-2005 Hach Lange, fornitore di soluzioni e di strumentazione per l’analisi delle acque: reflue, potabili e per diverse applicazioni in campo industriale, è il risultato della fusione tra Dr. Lange Germania e Hach Usa avvenuta nel 2000. Come parte della piattaforma ambientale Danaher Corporation, può contare su un fatturato mondiale di oltre 600 milioni di dollari e in Europa consta di diverse sedi produttive in Francia e Germania oltre a 15 filiali con sede nei maggiori Paesi europei.

La società, nel corso di diversi anni, ha integrato con successo marchi e aziende con molteplici tipologie di strumentazione ed esperienze (come Bühler, Gli, Lachat, Polymetron, Radiometer Analytical) con l’obiettivo di creare una struttura unica, in grado di offrire soluzioni per ogni tipo di applicazione riguardante il controllo delle acque.

Performance ambientale di Viscolube
14-09-2005 Nello stabilimento di Pieve Fissiraga, per le emissioni convogliate in atmosfera nel 2004 si è creato un nuovo impianto di Hydrofinishing e annesse unità ausiliarie con la contemporanea fermata delle vecchie unità impiantistiche. I valori misurati evidenziano la diminuzione di CO conseguente alla messa fuori servizio delle vecchie caldaie a scarso rendimento. La riduzione delle polveri risulta, viceversa, attribuibile all’entrata in servizio del nuovo ossidatore termico, dotato di un più efficiente sistema di abbattimento dei fumi. La consistente diminuzione degli NOx è da attribuirsi alla definitiva uscita dal ciclo di funzionamento dei vecchi impianti Vacuum, TCT e dalle caldaie di generazione vapore.

Sugli scarichi idrici nell’ultimo triennio le analisi effettuate con cadenza semestrale hanno visto i principali parametri indicatori della qualità delle acque entro i limiti stabiliti; mentre il trend del triennio mostra una sostanziale tendenza alla diminuzione della concentrazione del Cod e dei solidi sospesi correlabile con l’entrata in servizio della nuova sezione di filtrazione finale delle acque depurate, avente maggiore potenzialità.

La notevole diminuzione della produzione complessiva di rifiuti, tra il 2002 e il 2004, soprattutto nell’ambito dei rifiuti pericolosi, è conseguente alla pressoché totale eliminazione del rifiuto denominato “Filtri di argilla esauriti”. Eliminazione attuata attraverso la sostituzione del vecchio processo di finissaggio con terre decoloranti con il nuovo processo di idrofinissaggio catalitico. Il trend in controtendenza della produzione di rifiuti non pericolosi, aumentati nel triennio, è stato determinato dalle consistenti attività costruttive dei nuovi impianti che hanno comportato ingenti sbancamenti di terreni e demolizioni di pavimentazioni.

Per quanto riguarda i consumi di risorse, l’andamento è nel complesso allineato: la materia prima è risultata praticamente invariata; come pure i consumi di metano ed energia elettrica. Il maggior consumo di acqua industriale nel 2003 è attribuibile alle ingenti attività di lavaggio e bonifica effettuate nell’ambito del commissioning dei nuovi impianti. Viceversa, la riduzione del consumo nel corso del 2004 è da attribuire all’entrata a regime dei nuovi circuiti delle acque di raffreddamento a circuito chiuso che hanno consentito una importante razionalizzazione dei consumi di tale risorsa.

Educazione ambientale con gli autobus a Torino
14-09-2005 Gli Ecobus sono stati allestiti dalla Nua (Natur und umweltschutz Akademie, l’Accademia di protezione della Natura), un’istituzione governativa nata nel 1997 a Recklinghausen, che si occupa di educare alla conservazione della natura e dell’ambiente tramite i principi della sostenibilità.

Ogni anno la NUA organizza più di cento iniziative, tra cui lezioni, seminari e laboratori. I camion tedeschi sosteranno per tutta la durata del Congresso nello spazio antistante il Centro Congressi Lingotto, per una presentazione interattiva e stimolante delle loro attività. La presenza degli Ecobus al 3rd Weec (3rd World Environmental Education Congress) vuole testimoniare un’ulteriore modalità di presentazione dei progetti legati all’educazione ambientale. Oltre ai paper e ai poster è quindi possibile “fare” educazione ambientale.

Gli Ecobus sono vere e proprie aule mobili, in cui è possibile realizzare esperimenti su acqua, suolo, rumore e microclima. Il camion chiamato Lumbricus è specializzato nelle attività all’aperto, a diretto contatto con la natura ed è utilizzato anche per i corsi dedicati agli adulti in occasione di mostre e fiere ambientali. È anche a disposizione di scuole, comuni, regioni, associazioni e organizzazioni che si occupano di ambiente.

Convegno Intel sulle possibilità della fissione
14-09-2005 La fiera Intel è un evento dedicato all’elettrotecnica, all’elettronica, all’illuminazione, all’automazione industriale e componentistica, ma quest’anno, giunta alla diciannovesima edizione, ha anche trattato di tematiche legate alla disponibilità e all’uso dell’energia elettrica, partendo dalla questione della produzione e affrontando il tema dell’energia nucleare in Italia.

Il convegno è stato introdotto e presentato da Alessandro Clerici, presidente onorario di Wec-Italia (World Energy Council) e vicepresidente di Fast (la Federazione delle società scientifiche e tecniche). Il convegno ha esordito con la constatazione che l’Italia, fino al 1987, era il terzo produttore occidentale di energia atomica, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna. Oggi, dopo il referendum che ha sancito l’abbandono di questa tecnologia, l’Italia importa a caro prezzo energia, in gran parte d’origine nucleare, da Francia, Svizzera, Austria e Slovenia e il nostro Paese è di fatto circondato dagli impianti nucleari, ben 56 nella sola Francia.

Oggi il nucleare sta vivendo un periodo di rinnovato interesse, molte amministrazioni in tutto il mondo stanno riconsiderando le loro politiche energetiche alla luce degli accordi presi a Kyoto. Il nucleare, infatti, consentirebbe di abbattere le emissioni chimiche in atmosfera. In Finlandia, dove si era fatta una scelta molto simile a quella italiana, si è tornati al nucleare; approfittando della più recente tecnologia dei reattori moderati e raffreddati ad acqua pressurizzata (Pressurised Water Reactor, Pwr) sviluppata in Europa.

La Germania continua a produrre un terzo della sua energia elettrica utilizzando centrali nucleari e la Francia, con il suo 80% di elettricità di origine atomica, è un Paese esportatore di energia. Negli Stati Uniti si parla apertamente di modello francese per la produzione di energia nucleare e l’amministrazione Bush sta pensando a incentivi economici in questo senso.

Il Giappone ha una situazione che per molti versi è simile a quella della Francia, dove il nucleare è la fonte di energia elettrica ampiamente prevalente. Per il futuro, il governo nipponico prevede di costruire un nuovo tipo di rettori ad acqua bollente (Boiling Water Reactor, Bwr). Questi reattori saranno a sicurezza intrinseca, in altre parole avranno sistemi di sicurezza che sfruttano principi fisici, in grado di attivarsi e di funzionare a prescindere da un intervento diretto da parte di dispositivi o persone. Rimanendo in Asia, il governo Cinese prevede di dare grande impulso alla costruzione di nuove centrali nucleari, ma nel quadro di uno sviluppo che vede la componente fossile della produzione energetica ancora predominante.

Una possibilità ancora poco sfruttata, nel campo della fissione, è l’uso del torio. Un elemento che non è di per sé stesso fissile, ma è fertile. In altre parole, se bombardato con neutroni lenti (più energetici di quelli termici), l’atomo di torio 232 può assorbire un neutrone e trasformarsi nel nuclide 233 dell’uranio (che è fissile). Il torio può essere utilizzato in alternativa all’uranio nei reattori che utilizzano neutroni più veloci di quelli termici; gli impianti che rispondono bene a questo tipo di esigenza sono quelli ad acqua pesante (Heavy Water Reactor, Hwr) e i reattori raffreddati a gas ad alta temperatura (High Temperature Gas Reactor, Htgr).

Un passaggio essenziale nell’utilizzo del torio come combustibile nucleare è quello di riprocessare il combustibile esaurito, una tecnologia complessa che tuttavia può essere utilizzata per separare le scorie, che a loro volta potrebbero essere bruciate in reattori a neutroni veloci (Fast – Breeder Reactor, Fbr) attualmente in fase di sviluppo. Canada ed Australia da soli possiedono metà delle riserve mondiali di monazite, il minerale da cui si ricava il torio, ma ingenti giacimenti di questo materiale si trovano anche in altri Paesi, tra questi si contano: India, Brasile, Usa, Corea, Sud Africa, Egitto e Turchia.

Il torio sarebbe quindi una fonte di energia accessibile e presente in quantità; infatti il torio presente in natura è quasi completamente composto dal suo isotopo fertile; si stima che questo materiale potrebbe fornire quaranta volte l’energia ottenibile dall’uranio con i sistemi odierni. In pratica l’energia ricavabile dalle riserve di torio sarebbe superiore a quella ottenibile da petrolio, uranio e carbone sommate insieme.

In effetti il torio ha un’abbondanza nella crosta terrestre che è paragonabile a quella del piombo. Tanto che l’India ha un programma di ampio respiro che prevede la costruzione di centrali nucleari ad acqua pesante, in grado di sfruttare il torio dei propri giacimenti. Naturalmente, Canada ed Australia si propongono come esportatori di questo metallo, in particolare il Canada, con i suoi reattori moderati ad acqua pesante (D2O) denominati Candu (Canadian Deuterium Uranium), si propone anche come esportatore di tecnologia. I Candu, che oltre al torio possono utilizzare anche l’uranio naturale, sono reattori Phw che utilizzano acqua leggera come fluido termovettore.

Un’altra tecnologia promettente è quella dei reattori a neutroni veloci raffreddati da una lega eutettica di piombo bismuto, noti anche come reattori Lbe (Lead – Bismuth Eutectic). Questo tipo di rettori ha avuto un grande sviluppo in Russia, dove sono stati usati come propulsione per gli impressionanti sottomarini d’attacco classe Alpha. I reattori Lbe, grazie alla loro capacità di bruciare le scorie di fissione, potrebbero essere una delle risposte possibili per la gestione delle scorie nucleari.

Per quanto riguarda l’Italia, come è stato detto alla conferenza di Intel, esistono difficoltà oggettive che fanno allontanare l’ipotesi nucleare. L’esperienza francese ha dimostrato che il nucleare è economico ed efficiente quando un unico ente, nel caso particolare statale, gestisce tutti gli impianti: questa soluzione garantisce economie di scala e un elevato livello di standardizzazione (in Francia praticamente tutte le centrali sono di un unico modello, il più recente), con riflessi positivi su costi e sicurezza. In Italia non esiste più nulla di simile all’ente elettrico francese, c’è inoltre una difficoltà oggettiva nel reperimento dei siti (dissenso degli abitanti) e, in aggiunta, bisogna considerare che i vantaggi della scelta nucleare diventerebbero sensibili solo dopo la costruzione di almeno una decina di impianti.

Articolo pubblicato sulla rivista Chimica News a firma di Jacopo Di Blasio.

Zero discarica, 100% recupero
14-09-2005 “Zero discarica, 100% recupero” è un ambizioso progetto, messo a punto da CiAl e Bsb Prefabbricati che permette di recuperare alluminio dal trattamento delle scorie provenienti da impianti di termovalorizzazione attraverso l’utilizzo di tecnologie innovative. Si tratta di una soluzione che potrebbe in futuro eliminare l’opzione discarica per lo smaltimento dei residui derivati dall’incenerimento dei rifiuti.

Oltre all’alluminio e ad altri metalli la tecnologia per il trattamento delle scorie permette di riutilizzare integralmente le ceneri, opportunamente inertizzate, per produrre calcestruzzo da impiegare nell’edilizia pubblica e privata. Se l’intero ammontare delle scorie prodotto ogni anno da tutti i termovalorizzatori italiani fosse trattato con questa tecnologia si eviterebbe di smaltire in discarica e si recupererebbero 750 mila tonnellate di scorie ottenendo: 625 mila tonnellate di calcestruzzo, 37.500 tonnellate di metalli ferrosi e 5.000 tonnellate di alluminio.

L’impianto Bsb per il trattamento delle scorie post combustione di Noceto oggi lavora a regime e permette di recuperare l’alluminio dalle ceneri derivanti dall’incenerimento dei rifiuti. Attualmente l’impianto è integrato con una linea per la produzione, in particolare, di cabine per centraline elettriche realizzate con materiale di recupero.

L’importanza dell’utilizzo di materiali di recupero, come le ceneri inertizzate, per la produzione di nuovi materiali edili, sta nel pieno recepimento del Decreto Ministeriale 203/2003 che impone alla Pubblica Amministrazione e alle società a prevalente capitale pubblico di provvedere ai propri fabbisogni annuali di beni e manufatti prevedendo negli stessi la presenza di una quota non inferiore al 30% di materiale riciclato. In questo senso la Bsb avrà un ulteriore beneficio dalla produzione di manufatti in materiale riciclato, ovvero la possibilità di iscriversi al repertorio del riciclaggio, presso l’Onr. Repertorio che sta raccogliendo l’adesione delle aziende italiane e consentirà alla pubblica amministrazione di avere a disposizione un “catalogo” completo di ri-prodotti a cui attingere.

Bsb gestisce e lavora buona parte delle scorie provenienti dai temovalorizzatori di Silea (provincia di Lecco) e di Hera (Rimini, Forlì, Ravenna). Nell’impianto di Noceto vengono trattate e recuperate la totalità delle scorie annualmente conferite: circa 30.000 tonnellate. Dopo il processo di lavorazione si ottengono: 25 mila tonnellate di materiale destinato alla produzione di calcestruzzo, 1.500 tonnellate di metalli ferrosi e 300 tonnellate di metalli non ferrosi di cui il 65% di alluminio. 200 tonnellate di alluminio sono così avviate in fonderia per essere riciclate e dare vita a nuovi oggetti e prodotti di uso comune (ad esempio con questi quantitativi è possibile produrre 360 mila nuove caffettiere, 16 mila biciclette, oppure 20 mila cerchioni per auto).

Ceneri e scorie vengono caricate su un nastro trasportatore, dove in una prima fase di lavorazione, sono rimossi i rottami metallici di grosse dimensioni. Tutto il materiale è successivamente indirizzato a un vaglio rotativo dotato di nastro magnetico che elimina i materiali ferrosi presenti. Questi ultimi vengono stoccati all’esterno dello stabilimento in attesa di essere avviati a riciclo. A questo punto le scorie sono ulteriormente trattate mediante un impianto in grado di estrarre tutti i metalli a-magnetici presenti. Il materiale, ricco di alluminio, è nuovamente raccolto da una benna e setacciato, per eliminare altre impurità.

Dopo questa ulteriore fase di pulizia si ottiene alluminio pronto per essere avviato a riciclo in fonderia. Le scorie selezionate per dimensioni, lavate e trattate, vengono raggruppate in piccoli cumuli, amalgamate e miscelate, nella giusta proporzione, assieme ad acqua, inerti, cemento e additivi. È qui che le scorie, ora omogeneizzate, diventano calcestruzzo sicuro e atossico.
Il calcestruzzo è quindi versato in appositi stampi a griglia per la produzione di elementi e componenti per costruire prefabbricati per il settore dell’edilizia come capannoni industriali o cabine elettriche per società pubbliche e private.

Articolo pubblicato sulla rivista Inquinamento n. 74 – settembre 2005 a firma di Stefania Vignali.

Tiene l’export della chimica italiana
14-09-2005 Gli ultimi 18 mesi sono stati un periodo di crescita record dell’economia. L’Europa non se ne è tuttavia accorta (l’Italia ancor meno) perché da qualche anno non è protagonista della crescita mondiale, né riesce a sfruttarne a pieno il traino. I nuovi protagonisti sono invece i Paesi emergenti, prima fra tutti la Cina, che vivono un processo di sviluppo che vede quale motore principale l’industria e, in particolare, i settori tradizionali.

La chimica riflette i cambiamenti strutturali in atto. A livello mondiale, infatti, il 2004 ha rappresentato per la chimica un anno di crescita elevata (+4,6% in termini reali) che va ad aggiungersi a due anni già positivi. Il dato complessivo nasconde però realtà profondamente diverse tra Paesi emergenti e Paesi avanzati. Nei Paesi emergenti infatti la domanda di chimica cresce (e continuerà a crescere) fortemente perché alimentata dal boom dei consumi di beni durevoli e dalla necessità di modernizzare l’agricoltura e le infrastrutture. Questi Paesi tendono inoltre a diventare rapidamente leader nei settori industriali più tradizionali (e a maggiore contenuto di chimica) grazie soprattutto al basso costo della manodopera. Nei Paesi avanzati invece prevale la domanda di servizi e di beni immateriali a basso contenuto di chimica per cui i tassi di crescita risultano decisamente più contenuti.

L’evoluzione a “due velocità” della chimica mondiale insieme alle perturbazioni provocate dal dollaro debole impattano in modo fortemente differenziato sulle imprese chimiche, a seconda della loro internazionalizzazione produttiva.

Nel 2004 anche gli Usa si sono confermati quale importante fattore di crescita per l’economia mondiale. In questo caso, la spinta maggiore è derivata dai servizi e dai settori high tech, ma la ripresa è stata sostenuta e sufficientemente intensa, cioè tale da attivare anche i settori tradizionali e a maggiore contenuto di chimica.

Emerge dunque un “problema europeo” in quanto l’Europa non riesce a intraprendere un solido percorso di ripresa neanche nell’ambito di un contesto internazionale molto dinamico. In effetti, l’economia europea ha continuato a crescere anche in fasi di stagnazione dell’industria grazie al contributo dei servizi che sono per loro natura meno ciclici e meno esposti alla concorrenza internazionale. D’altro canto, anche con la ripresa internazionale, l’industria europea è rimasta indietro a causa delle difficoltà a competere con i nuovi protagonisti dei Paesi emergenti che trasformano le regole della competizione imponendo cambiamenti strutturali nel breve periodo e in un contesto ulteriormente penalizzato dall’euro forte.

Senza industria però l’economia europea cresce poco. I settori industriali hanno infatti un peso ancora determinante sia per la domanda di beni e servizi che attivano direttamente, sia per i posti di lavoro che garantiscono. Si profila dunque una situazione di circolo vizioso: le difficoltà dell’industria sono alla base della bassa crescita dell’economia europea che, a sua volta, determina un contesto di domanda industriale fiacca e fortemente contesa tra produttori europei ed extra-europei.

Per il 2005-2006 è previsto un rallentamento della crescita mondiale che comunque continuerà a procedere con un buon passo per cui il contesto internazionale dal lato della domanda rimarrà favorevole. Per l’Europa questo significa essenzialmente che il meglio della congiuntura internazionale è già passato. I risultati, comunque modesti, conseguiti nel 2004 dall’economia e dall’industria rischiano sempre più di rappresentare un’eccezione piuttosto che la base di un effettivo sentiero di ripresa.

Si può leggere il seguito dell’articolo, a firma di Mario Gargantini, sulla rivista Chimica News n. 9 – settembre 2005.

Concentrato di tecnologie
14-09-2005 Rampa di lancio per l’edizione 2005 di Rich-Mac, la rassegna internazionale della chimica e delle apparecchiature chimiche e per analisi, ricerca, controlli e biotecnologie, che accoglierà il pubblico internazionale dal 4 al 7 ottobre a fieramilanocity. L’edizione di quest’anno si caratterizza per essere la prima organizzata da Fiera Milano Tech (51% Fiera Milano, 49% Federazione Anie) in collaborazione con Bias Group, una società del Gruppo VNU, e da Rassegne, società del Gruppo Fiera Milano.

L’importanza di Milano come sede di Rich-Mac è un primo aspetto da evidenziare, come ha sottolineato nella conferenza di presentazione Bruno Boffo, Vice Presidente e Amministratore Delegato Fiera Milano Tech; la Lombardia è, infatti, non solo la principale regione chimica in Italia, ma anche la prima in Europa per numero di imprese e la seconda per numero di addetti, dopo la Renania-Westfalia. Il capoluogo lombardo – importante anche per collocazione geografica, dimensione, importanza economica e strutture fieristiche – è quindi il luogo ideale per una mostra dedicata alla chimica.

Boffo ha anche messo in rilievo il fatto che Rich-Mac si svolga a fieramilanocity: “L’investimento di Fiera Milano nel nuovo e grande quartiere di Rho non significa, infatti, l’abbandono del quartiere storico della città, che continua a svolgere un ruolo importante per tutti quegli eventi che, per dimensioni e caratteristiche, sono più adatti a rimanere nel cuore di Milano. La nuova area e il polo urbano sono anzi complementari e operano insieme, in modo sinergico, su una superficie espositiva lorda complessiva di 530.000 metri quadri – inclusa l’area scoperta – costituendo uno dei sistemi fieristici più grandi del mondo”.

Pvc: segnali positivi nel 2004
14-09-2005 Il mercato ed il consumo di Pvc in Italia nel 2004 hanno mostrato complessivamente un aumento di 23.000 tonnellate rispetto al 2003. Dimostrano crescita e dinamismo, anche innovativo, i manufatti nelle applicazioni rigide come tubi e finestre, con un sostanziale mantenimento e consolidamento delle posizioni nelle applicazioni flessibili come imballaggi e isolamento elettrico.

Il settore dell’edilizia e delle costruzioni si conferma al primo posto tra i settori di destinazione del Pvc con 340.000 t, pari al 34,8% dei consumi totali in Italia. Rispetto alle altre applicazioni, cresce in particolare l’utilizzo del Pvc calandrato rigido con 179.000 t, pari al 18,3% dei consumi. Sono questi alcuni dei dati che emergono dalla ricerca “Il consumo del Pvc in Italia nel 2004” commissionata dal Centro di Informazione sul Pvc e realizzata da Plastic Consult.

La ricerca evidenzia, inoltre, una crescita significativa delle esportazioni di compouds, salite a 75.000 t quasi equamente suddivise tra rigido e plastificato, e delle applicazioni diverse, cresciute anch’esse a 75.000 t (valigeria, pelletteria sintetica, nastri trasportatori, lastre espanse ecc.). Per quanto riguarda il Pvc riciclato, industriale e post-consumo, nel 2004 la produzione è stata di circa 75.000 t, in crescita (+ 5.000 t) rispetto all’anno precedente, ma l’attività del settore risulta frenata dalla difficile reperibilità di fonti di materie prime economicamente sfruttabili. I principali mercati di sbocco per il Pvc rigido riciclato si confermano: tubi lisci e corrugati per cavidotti, pluviali e sostegni per floricoltura; profilati per edilizia per avvolgibili, battiscopa, recinzioni, coprigiunti ecc.; monofili per spazzole.

Il Pvc plastificato riciclato trova sbocchi in particolare nei tubi per giardinaggio, ma anche nell’estrusione di foglia nera per impermeabilazzazioni, nella produzione di tappetini per auto, profilati per mobili, calzature e materiale elettrico.

Accordo DuPont – Rhodia sulle miscele refrigeranti
14-09-2005 In attesa del benestare da parte delle autorità competenti in materia, si prevede che l’operazione verrà completata nell’ultimo trimestre di quest’anno.

La famiglia di refrigeranti Isceon comprende miscele non lesive dello strato d’ozono che sostituiscono i refrigeranti nocivi per l’atmosfera utilizzati negli impianti di condizionamento dell’aria, magazzini a temperatura controllata, frigoriferi per uso domestico e impianti di raffreddamento industriali.

Rhodia continuerà a produrre e vendere il refrigerante R-22 fabbricato nello stabilimento di Avonmouth, Regno Unito.

Direttiva sul toluene e triclorobenzene
14-09-2005 Si tratta di modifiche a una direttiva del 1976 mirante a migliorare la salute e la sicurezza dei consumatori europei. Ma la plenaria di Strasburgo ha voluto anche garantire l’uso del Triamminobenzene utilizzato per impedire lo scoppio di munizioni in caso di incidente.

La chimica emigra in Cina
14-09-2005 Fra 1.300 milioni di persone (quattro volte la popolazione europea) è ben probabile che ci siano centinaia di migliaia di chimici: hanno imparato le lingue occidentali, leggono le riviste chimiche europee e americane, usano Internet, scrivono e studiano in una lingua che a noi è inaccessibile. Tanto che, se nei laboratori e nelle loro fabbriche vengono messe a punto innovazioni importanti, queste ci restano del tutto inaccessibili.

È già successo con l’Unione sovietica: per decenni le pubblicazioni russe sono rimaste inaccessibili non perché non arrivassero in occidente, ma perché quasi nessuno le sapeva leggere. Fino al giorno in cui abbiamo scoperto che anche i russi avevano missili, bombe atomiche, centrali nucleari, calcolatori, stabilimenti petrolchimici, proprio come l’Occidente.

Gli Stati uniti “sfruttano” l’immigrazione cinese per usarne le conoscenze scientifiche e realizzare un ponte con il continente cinese: al ruolo della scienza e della tecnica in Cina e alle prospettive ha dedicato un lungo articolo la rivista “Chemical and Engineering News” dal 23 maggio 2005. E noi? Che cosa si insegna ai chimici italiani sulla chimica cinese?

Potere alla chimica
14-09-2005 Eppure proprio in questo momento occorrerebbe un crescente numero di chimici, non solo per affrontare i grandi temi delle biotecnologie o delle scorie nucleari, ma anche per affrontare i temi più comuni e quotidiani, e non per questo più facili, della chimica nella nostra vita.

Dalle scuole secondarie sono state eliminate, sistematicamente, una dopo l’altra, la merceologia che, pur sorella minore, era un’occasione per educare alla comprensione dei problemi squisitamente chimici della qualità degli oggetti, delle merci, delle materie prime, e l’educazione tecnica. Quest’ultima, che avrebbe potuto offrire anch’essa uno spunto per trattare i problemi chimici della vita quotidiana, era spesso stata degradata a un pasticciare con i materiali, a un po’ di ecologia domestica, a un insegnare a maneggiare computer.

Così, a furia di fare ciascuno le cose che non gli competevano o che conosceva poco, si è persa la capacità e anche la gioia di fare della buona chimica. Col risultato che di prodotti e materiali chimici si occupano non le scuole, ma le imprese – e questo è (o sarebbe) anche giusto – e anche i mercati. Se volete sapere dove e come si producono e commerciano materiali, come gomma, rame, zucchero, rottami di alluminio, iridio, eccetera, e di quale qualità, trovate più informazioni nelle pagine dei “mercati” dei quotidiani economici o nei siti Internet che trattano “commodities”.

Dalle bucce di pomodoro un materiale simile alla plastica
14-09-2005 Le bucce di pomodoro sono il sottoprodotto dei processi di conservazione e trasformazione del pomodoro e rappresentano dall’uno al 2% del peso del pomodoro fresco, che a sua volta è costituito da quasi il 90 % di acqua.

Della produzione italiana di pomodori una parte va al consumo diretto, ma oltre 5 milioni di tonnellate vanno ogni anno all’industria delle conserve che produce circa 2 milioni e mezzo di tonnellate di derivati, di cui l’Italia è il principale produttore in Europa, seconda nel mondo soltanto agli Stati Uniti.

Come sottoprodotto della trasformazione dei pomodori si trovano circa 50.000 t all’anno di bucce, smaltite come rifiuti nelle discariche, in parte sottoposte a trattamenti che producono del “compost”, un materiale organico che può essere aggiunto ai terreni, in parte addizionate ai mangimi.

Le pellicole plastiche, biodegradabili e resistenti, sono state ottenute da alcuni polisaccaridi presenti nelle bucce di pomodoro. Altri studiosi hanno scoperto che le sostanze cerose della cutina potevano essere impiegate come ingredienti di cosmetici. C’è una crescente richiesta commerciale di licopene, la cui estrazione è stata studiata presso la Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari di Parma; anche in questo caso la materia prima è costituita dalle bucce che contengono licopene in ragione di mezzo grammo per ogni chilo di buccia; un processo di estrazione con anidride carbonica potrebbe fornire 5.000 kg all’anno di licopene che viene usato come sostanza farmaceutica ed è quotato (2005) a circa 50.000 euro il grammo.