Non è sfuggito, inizialmente, ai primi commentatori ed oggi anche alla più vasta platea degli operatori di settore che la disciplina introdotta, ex novo, dal decreto Ronchi n. 22/97 sulla “Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati” (per ripetere la rubrica dell’art. 17) era ed è destinata ad incidere pesantemente sulle transazioni commerciali aventi ad oggetto beni immobili e, direttamente e/o indirettamente, sulle società che li hanno in patrimonio e/o in gestione, nei molteplici profili civili, amministrativi e penali sottesi a quel disposto. È di comune ed evidente percezione, infatti, che tutte le difficoltà o incertezze interpretative – di natura giuridica e tecnica – che interessano i temi salienti delle complesse procedure di “messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale” non potranno non ricadere – in modo diretto o mediato – sulle prassi contrattuali (e dunque sull’economia reale) che interessano i siti contaminati, provocandone ritardi e/o sospensioni e/o arresti, con effetti pregiudizievoli sul mercato immobiliare e, più latamente, sullo sviluppo stesso delle imprese e delle loro trasformazioni e/o cessioni, a diverso titolo. Esemplificando, ogni disciplina contrattuale relativa alla vendita (ma anche alla costituzione di qualsiasi altro diritto reale o personale di godimento o garanzia) di un sito industriale – ovvero alla alienazione totale o parziale di parti o quote di società che insistono su di un sito industriale, nonché qualsivoglia forma di finanziamento, pubblico e/o privato, che interessi una attività d’impresa che sia ubicata su di una area inquinata – non potranno non essere “condizionate” dalla previa soluzione di alcuni “nodi” interpretativi circa l’esatta portata (significato ed estensione) di decisive nozioni giuridiche, quali quelle di:
– sito inquinato e/o potenzialmente inquinato, di cui all’art. 17, comma 2 cit. e art. 2, comma 1, lett. b) e c) del d.m. n. 471/1999;
– decorrenza dell’obbligo di bonifica: se per episodi/fatti di inquinamento posteriori al 2 marzo 19997 (data di entrata in vigore del decreto Ronchi e quindi dell’art. 17) ovvero al 16 dicembre 1999 (termine di entrata in vigore del regolamento attuativo che, per la prima volta, ha fissato i valori-limite di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque, ecc.) o infine, anche per fatti anteriori al decreto Ronchi;
– necessità che l’obbligo di bonifica presupponga e sorga almeno in presenza della coscienza e volontà del soggetto che ponga in essere la condotta inquinante (nesso psichico); del nesso causale fra condotta ed evento e di un atteggiamento psichico almeno “colposo” dell’agente (se non doloso) ovvero non sia richiesta necessariamente dalla legge la colpa dell’agente, essendo sufficiente che il fatto inquinante sia anche solo di natura “accidentale” (o senza colpa, ai sensi dell’art. 17, comma 2 cit.; nel senso di richiedere la presenza della colpa solo per la irrogazione delle sanzioni penali ma non per esigere la bonifica in sede amministrativa e civile);
– individuazione delle condizioni per configurare la “impossibilità a raggiungere i valori di concentrazione limite accettabili, nonostante l’applicazione della migliore tecnologia disponibile a costi sopportabili, in base al progetto preliminare” secondo una “metodologia di analisi di rischio riconosciuta a livello internazionale” [ove l’incertezza (ermeneutica e dunque) applicativa attiene ad ogni singolo passaggio di tanto complessa proposizione: “impossibilità”; “costi sopportabili”; “migliore tecnologia disponibile”; adeguatezza e accreditabilità “dell’analisi di rischio”. Trattasi, infatti, di “variabili” molto rilevanti che decidono, in termini economici significativi, sulla scelta di dover affrontare le ingenti spese di una integrale bonifica del sito (con rispetto pieno di tutti i limiti di accettabilità superati) oppure quelle, necessariamente minori, della “bonifica con misure di sicurezza”, ex art. 5 del regolamento cit. (in cui si resta, in tutto o parte, al di sotto di quei limiti);
– entità e portata degli “oneri reali” – che gravano sulle aree inquinate, ex art. 17, comma 10 – e che consistono in obblighi di intervento di bonifica e ripristino ambientale a carico di tutti coloro che subentrano nella proprietà dell’immobile inquinato, attesa la “ambulatorietà” di tale obbligo, tanto da giustificare l’estensione della notifica – anche all’attuale proprietario non autore della contaminazione – della diffida comunale di cui all’art. 8 del regolamento, necessariamente diretta al responsabile dell’inquinamento.
Esemplificazioni con riferimento ai soggetti e all’oggetto del contratto
Ancora più evidente si manifesta l’incidenza della nuova normativa delle bonifiche su tutti quegli istituti di diritto civile che attengono alla disciplina del (buon) funzionamento del contratto, nella fase della sua formazione, conclusione ed esecuzione (artt. 1321-1469, codice civile) e della sorte delle obbligazioni che ne derivano (v. artt. 1173-1320, stesso codice), sol che si tenga conto di alcuni profili, già impliciti in quanto sopra accennato, che afferiscono:
– alla situazione dell’alienante (o promittente) che – rispetto alle condizioni di contaminazione dell’immobile oggetto di vendita – si trovi in una situazione soggettiva dolosa o colposa (cioè di piena consapevolezza o di ignoranza colpevole di tale circostanza) e, di conseguenza, adotti, nei confronti dell’altro contraente, comportamenti omissivi (restando in “silenzio” sul punto) ovvero artificiosi, fittizi, ingannevoli e simili, per celare la circostanza (di inquinamento sicuro o potenziale) del bene venduto;
– allo stato psicologico dell’acquirente, il cui consenso può risultare “viziato” a causa della condotta di controparte e la cui buona fede sia stata tradita, nei termini accennati, in violazione dell’obbligo di correttezza e lealtà contrattuale e precontrattuale, imposta dal codice comune;
– alle caratteristiche del bene oggetto del contratto, il cui stato di contaminazione, accertato o presunto, assume specifica rilevanza in sede civile, quale connotato del bene alienato (si pensi al caso in cui, in un momento successivo all’acquisto, esso possa risultare privo, in tutto o parte, di qualità; affetto da vizi, noti o occulti; di natura diversa da quella promessa, tanto da essere non utilizzabile o meno utilizzabile, con valore diminuito, ecc.; fonte – esso stesso – di ulteriori danni o lesioni a persone e cose, ecc.).