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The Limits to Growth RevisitedERT

Nella primavera di quarant’anni fa cominciò a circolare il testo di uno studio, che apparve come libretto all’inizio del successivo 1972 col titolo “Limits to Growth” (in italiano “I limiti dello sviluppo”, con una errata traduzione del titolo originale che parlava invece di ”limiti alla crescita”). Si trattava dei risultati di una ricerca condotta sui possibili rapporti futuri fra popolazione, risorse e crescita economica, condotta per conto del Club di Roma, un gruppo di persone presieduto da Aurelio Peccei, imprenditore, intellettuale e promotore di studi sul futuro.

Lo studio arrivava alle seguenti conclusioni: se la popolazione terrestre continua ad aumentare (allora la popolazione mondiale era di 3.500 milioni di persone, oggi è di quasi settemila), se continua l’aumento della produzione industriale e agricola ai ritmi di quel tempo (che sono poi i ritmi di aumento anche attuali), il pianeta Terra va incontro a un impoverimento delle foreste, delle riserve di petrolio, carbone, minerali, a una diminuzione della fertilità del suolo e a un aumento dell’inquinamento dell’aria e delle acque, della violenza e congestione delle megalopoli, al punto da far intravedere l’esplosione di guerre per la conquista delle materie prime e dell’acqua, la diffusione di malattie ed epidemie, con una brusca diminuzione della popolazione e della produzione industriale. Per evitare questa transizione traumatica il libro suggeriva di porre dei “limiti alla crescita” della popolazione mondiale e della produzione e del consumo delle merci.

Il libro suscitò vivacissime polemiche: alcuni lo considerarono una possibile guida per un futuro economico “sostenibile”, come si dice oggi: altri riconobbero una resurrezione, avallata dai calcoli di potenti computer, delle teorie di Malthus, odiato dai cattolici e dai marxisti. Altri ancora denunciarono il libro del Club di Roma come uno strumento dei paesi industriali per bloccare lo sviluppo economico dei paesi poveri. Dopo alcuni anni il libro finì quasi dimenticato.

Ha fatto bene Ugo Bardi, docente presso l’Università di Firenze a ricostruire – nel libro “Limits to growth revisited”, per ora pubblicato in inglese da Springer – l’ambiente culturale in cui i “Limiti alla crescita” nacquero, le analisi contenute e le polemiche successive. L’analisi di Bardi mostra che le tendenze ad una crisi planetaria non solo non erano sbagliate, ma sono sotto gli occhi di tutti oggi. Dagli anni Settanta a oggi ci sono state almeno tre guerre per il petrolio, decine di guerre locali per la conquista delle miniere di rame, cromo, cobalto, tungsteno, delle riserve di acqua nelle zone aride; è aumentato l’inquinamento delle acque, del mare e dell’aria e le modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera stanno provocando mutamenti climatici irreversibili.

Il libero mercato sta trionfando ovunque con una espansione senza precedenti dei consumi di energia e materie prime; la popolazione mondiale in assoluto continua ad aumentare di circa 70-80 milioni di persone all’anno, sta aumentando il numero degli anziani e aumenta la pressione migratoria dai paesi poveri a quelli più ricchi di merci, di opportunità di lavoro, anche di libertà individuale. Soprattutto la quantità di molte materie estratte dal pianeta, dopo un rapido aumento raggiunge un picco e poi declina; il fenomeno è ben visibile nel caso del petrolio, ma si è verificato anche per molte altre risorse naturali, dai nitrati cileni, ai fosfati delle isole oceaniche, allo stesso metano in Italia.

Ce la farà la Terra, con i suoi innegabili limiti fisici e biologici, a soddisfare, secondo giustizia, i bisogni di tante persone? La documentata analisi di Bardi induce a ritenere che la soluzione alla “sfida planetaria” va cercata in una revisione dei rapporti fra i popoli, nell’uso diverso delle risorse del nostro pianeta, in una diversa qualità e quantità delle merci, in una nuova capacità di guardare al futuro.

di Giorgio Nebbia

Springer: www.springer.com