La storia del settore fotovoltaico la conosciamo tutti: sulla spinta degli accordi del protocollo di Kyoto e del pacchetto clima-energia 20-20-20, che imponeva di raggiungere entro il 2020 una quota di energia prodotta da fonte rinnovabile di almeno il 20%, si sono succeduti nel tempo i diversi conti energia che hanno incentivato l’investimento fotovoltaico.
La formula proposta era soprattutto finanziaria: a fronte di un investimento si proponeva una resa spesso superiore al 10%. Tra coloro che hanno creduto a questa formula c’è stato un numero importante di aziende agricole, che a fronte delle agevolazioni burocratiche del settore, hanno pensato di dedicare parte del loro terreno o dei loro annessi ad un impianto fotovoltaico.
Alessandro Mavilla, insieme a Francesco Picchioni, è il titolare di un’azienda di servizi che ha progettato e/o realizzato circa 700 impianti, la maggior parte dei quali al di sotto dei 200 kWp, installati presso piccole aziende agricole nella Toscana centrale (Arezzo, Firenze, Siena). Sulla base dell’esperienza maturata in questi anni, Alessandro Mavilla dichiara: “Nella corsa alla realizzazione degli impianti fotovoltaici nel triennio 2009-2011, molti dettagli importanti sono stati trascurati. Ad esempio è un dato di fatto che raramente sia stato fornito anche un sistema di monitoraggio per impianti di potenza inferiore a 50 kWp, forse per scarsa conoscenza e cultura degli installatori locali, che sono stati ‘travolti’ da un mercato in forte crescita senza avere avuto il tempo di comprenderne a fondo le implicazioni tecnologiche”.
In questa situazione ci si rende conto del degrado della produttività dell’impianto fotovoltaico solo in base alla diminuzione del pagamento dell’incentivo da parte del Gse. Solitamente i primi segnali di riduzione si presentano dopo pochi mesi, ma finché il valore dell’incentivo si abbassa solo del 10% nessuno pensa a un problema tecnico. In prima battuta si ritiene possa dipendere dal clima, quindi da un minor irraggiamento, in seconda battuta si procede con attività di manutenzione minimali, per esempio la pulitura dei pannelli. Solo dopo 2 o 3 anni, quando l’incentivo si è ridotto anche del 50%, si pensa ad indagini serie. Negli accertamenti verificati il problema più ricorrente è il PID, quindi una degenerazione dei moduli a causa dell’esposizione delle stringhe ad un potenziale negativo. Se il degrado ha raggiunto livelli elevati l’attività di rigenerazione, possibile grazie al “Mini PID box Omron-Ilumen”, può durare qualche mese, ma comunque gli effetti negativi causati dal PID sul tempo di rientro dell’investimento originariamente sostenuto per l’impianto fotovoltaico sono notevolmente attenuati.
“Una volta diagnosticato il PID”, afferma Alessandro Mavilla, “suggeriamo un intervento in due fasi con l’obiettivo di diminuire l’impatto economico dell’intervento. Inizialmente cerchiamo il recupero dell’efficienza del modulo, installando temporaneamente il Mini PID box Omron-Ilumen ed inserendo un sistema di monitoraggio di tipo avanzato che permette di verificare l’effettivo recupero. Questo permette di riportare velocemente la produttività a un livello soddisfacente e di garantire un flusso di cassa congruo per il proprietario dell’impianto. Nella seconda fase sostituiamo l’inverter originario con l’inverter Omron che ha la caratteristica di prevenire il PID, quindi evitare che le celle degenerino nuovamente. Abbiamo infatti constatato che, in assenza di misure preventive, se ad un impianto rigenerato viene tolto il PID Box ha inizio una nuova degradazione”.
“Siamo molto soddisfatti della collaborazione con Omron”, conclude Alessandro Mavilla, “la cui tecnologia supporta efficacemente il modello di business che stiamo portando avanti. La possibilità di proporre interventi in due fasi distinte, installazione del PID box prima e sostituzione dell’inverter successivamente per risolvere definitivamente il problema, permette infatti di andare incontro alle esigenze economiche dei piccoli proprietari di impianti, suddividendo l’investimento”.