Dal primo gennaio è entrato in vigore il nuovo Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER), aggiornato sulla base della Decisione 2000/532/CE e delle successive modifiche e integrazioni. Il sistema comunitario di codifica, nato da esigenze di tipo statistico, è in seguito divenuto uno dei cardini sui quali si reggono sia il complesso insieme di adempimenti previsti dalla disciplina sulla gestione dei rifiuti sia i molteplici procedimenti di qualificazione e autorizzazione degli operatori del settore.
Dall’elenco alle analisi
L’introduzione del nuovo CER, però, non comporta unicamente la variazione dei codici e delle descrizioni utilizzati per identificare le diverse tipologie di rifiuti, attraverso l’introduzione di nuove voci e l’eliminazione di quelle divenute inadeguate, ma richiede anche una profonda modificazione del metodo di classificazione dei rifiuti in relazione alle loro caratteristiche di pericolosità. Si passa, infatti, dal precedente criterio di individuazione dei rifiuti pericolosi basato fondamentalmente su un elenco definito a livello europeo, e sottoposto a periodica revisione, alla necessità di sottoporre ad analisi chimica i rifiuti per verificare l’effettiva presenza di sostanze pericolose oltre determinati valori limite. A differenza del CER originario, infatti, il CER 2002 incorpora l’elenco dei rifiuti pericolosi, che vengono individuati mediante l’apposizione di un asterisco dopo il codice. Se in passato per poter decidere in merito alla pericolosità di un rifiuto si doveva:
– conoscerne la provenienza (la tipologia di processo produttivo o di attività che lo aveva generato), la composizione e le eventuali caratteristiche di rischio significative sia per la fase di deposito temporaneo presso il luogo di produzione sia per le successive fasi di gestione;
– individuare nell’ambito del Catalogo Europeo dei Rifiuti, presente nella normativa italiana come allegato A2 al D.Lgs. 22/1997, il codice più adeguato a descriverlo sia con riferimento all’attività dalla quale era decaduto il rifiuto sia alle caratteristiche specifiche di quest’ultimo;
– verificare che il codice ritenuto adatto a descrivere le caratteristiche e l’origine del rifiuto fosse compreso o meno nell’allegato D, con l’entrata in vigore del nuovo CER il processo di individuazione dei rifiuti pericolosi ha subito una profonda modificazione. A tale proposito è però opportuno sottolineare come il fatto che il codice di un rifiuto sia seguito dall’asterisco non significa in ogni caso che il rifiuto debba essere necessariamente classificato come pericoloso. In particolare:
“Se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico [per esempio: 160209* – trasformatori o condensatori contenenti PCB] o generico [per esempio: 150110* – imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose o contaminati da tali sostanze] a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio percentuale rispetto al peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all’allegato III della Direttiva 91/689/CEE del Consiglio”.
I nuovi codici
Se in una prima fase la necessità di adeguarsi ai nuovi codici identificativi e ai diversi criteri di individuazione dei rifiuti pericolosi, ha investito gli operatori del settore (che, nel caso in cui la classificazione dei rifiuti da loro gestiti sia mutata, hanno dovuto rinnovare entro il 10 febbraio 2002 e con le modalità previste dall’art. 15 della L. 443/01 l’iscrizione all’Albo Gestori o l’autorizzazione per l’esercizio di attività di recupero o smaltimento comunicando i nuovi codici), in una fase successiva questa esigenza coinvolgerà pressoché tutte le aziende e gli enti che producono rifiuti diversi da quelli conferibili al servizio pubblico. In particolare, sono tenuti ad avviare un processo di valutazione dell’opportunità di attribuire nuovi codici ai propri rifiuti e quindi, eventualmente, di ricodifica:
– non solo i “I soggetti che effettuano attività di gestione dei rifiuti la cui classificazione è stata modificata” (Legge 443/01), per i quali la comunicazione dei nuovi codici è essenziale per poter continuare a gestire le tipologie di rifiuti che hanno subito un cambiamento di classificazione (da non pericoloso a pericoloso o viceversa); ma
– tutti gli operatori del settore in quanto nei titoli abilitativi all’esercizio delle attività di gestione sono indicati codici identificativi del rifiuto non più vigenti, per effetto della definizione del nuovo CER operata dalla Decisione 2000/532/CE e dalle successive modifiche e integrazioni e
– tutte le imprese produttrici di rifiuti che non possono essere affidati al servizio pubblico di raccolta in qualità di rifiuti speciali assimilati agli urbani;
in quanto è necessario attribuire i nuovi codici identificativi per poter:
– gestire in modo corretto il deposito temporaneo dei rifiuti (lo stoccaggio presso il luogo dove sono stati prodotti) sia dal punto di vista del rispetto dei limiti quantitativi e temporali sia da quello delle modalità di stoccaggio vere e proprie;
– avviare i rifiuti al recupero o allo smaltimento;
– verificare che i soggetti che offrono servizi di gestione dei rifiuti siano in possesso di titoli abilitativi adeguati.
Il processo di attribuzione dei codici
Le decisioni comunitarie che hanno istituito il nuovo CER hanno condotto a una formalizzazione dei criteri da seguire per l’attribuzione dei codici identificativi dei rifiuti. Il percorso concettuale da seguire è articolato in una serie di passaggi logici che, nel rispetto del principio di specificità, secondo il quale è necessario scegliere il codice che meglio descrive sia il processo produttivo dal quale il rifiuto è stato generato sia le specifiche caratteristiche di quest’ultimo, consentono di approssimarsi gradualmente alla corretta identificazione del codice CER. Le decisioni comunitarie, infatti, precisano che in primo luogo è necessario:
– “identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i titoli dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 [tali capitoli del codice europeo indicano le macroattività economiche dalle quali i rifiuti decadono] per risalire al codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli che terminano con le cifre 99”.