La diffusione di informazioni secondo cui le plastiche contenenti l’additivo d2w sarebbero “biodegradabili” in conformità allo standard Uni EN 13432 rappresenta concorrenza sleale per illecita appropriazione di pregi e scorretta informazione del consumatore, e obbliga chi la pone in essere a risarcire il danno.
Lo ha stabilito il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in Materia di Impresa, nella causa promossa da Novamont, produttrice del biopolimero Mater-Bi, contro Kromabatch, che distribuisce l’additivo d2w in Italia. Oggetto del procedimento era la diffusione da parte di Kromabatch di informazioni secondo cui le plastiche tradizionali additivate con d2w avrebbero potuto essere considerate “biodegradabili” o “oxo-biodegradabili”.
Nell’applicare le norme vigenti, la decisione stabilisce alcUni principi fondamentali riguardo la “biodegradabilità” delle plastiche e la comUnicazione di tale caratteristica sul mercato. La sentenza costituisce inoltre la prima decisione in materia dopo l’entrata in vigore (L. 24 marzo 2012 n. 28) del divieto di commercializzazione di shopper non biodegradabili secondo lo standard Uni EN 13432:2002.
Innanzitutto, secondo il Tribunale non è sufficiente che un materiale plastico additivato degradi in misura maggiore della plastica tradizionale per potersi dire “idoneo a realizzare prodotti biodegradabili in conformità alla (…) Uni EN 13432”, occorrendo a tale fine che il materiale sia effettivamente conforme allo standard Uni EN 13432:2002, superando il test di biodegradabilità ivi previsto. A questo riguardo, il Tribunale ha sottolineato che la posizione di Kromabatch circa la sussistenza di vari gradi biodegradabilità “aggrava… il rilievo di decettività del prodotto in discussione (d2w)” agli occhi del pubblico di riferimento, e ciò proprio in quanto tale materiale era stato “pubblicizzato come idoneo e far conseguire una biodegradabilità al livello raggiungibile in base alle prescrizioni di… Uni EN 13432”.
Sotto un ulteriore profilo, il Tribunale ha stabilito che la conoscenza e l’applicazione dei principi sopra esposti costituiscono precisi obblighi di ogni “imprenditore corretto e professionalmente accorto” del settore. Su tali soggetti grava infatti l’onere di controllare “scrupolosamente l’esattezza delle informazioni commerciali veicolate” sul mercato.
Alla luce di ciò, il Tribunale di Milano ha inibito Kromabatch dall’affermare che l’additivo d2w potrebbe “conferire biodegradabilità” alle plastiche tradizionali secondo quanto previsto dallo standard Uni EN 13432, condannandola al risarcimento del danno e disponendo la pubblicazione del dispositivo della sentenza sul Corriere della Sera, sulla rivista di settore Polimerica e sulla homepage del sito di Kromabatch per due mesi.
“È una decisione importante perché serve a confortare tutte quelle imprese che operano nel settore innovativo delle plastiche biodegradabili nel rispetto delle regole di una comunicazione al servizio del consumatore”, ha commentato il Direttore Commerciale di Novamont Alessandro Ferlito. “Il rispetto delle regole di comunicazione, oltre a favorire acquisti consapevoli che contribuiscono a migliorare condizioni ambientali e vita dei consumatori, rappresenta infatti anche un rilevante fattore di spinta dell’innovazione nel nostro settore”, ha aggiunto Ferlito.
La sentenza di primo grado del Tribunale di Milano, depositata mercoledì 14 gennaio 2015, potrà essere appellata da Kromabatch nei termini di legge.
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