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Legambiente presenta il dossier “Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà?”ERT

In Italia le superfici, terrestri e marine, individuate negli ultimi 15 anni come siti contaminati sono davvero rilevanti. I risultati ottenuti fino ad oggi per il raggiungimento della bonifica di queste aree invece, non sono purtroppo altrettanto rilevanti. Secondo il Programma nazionale di bonifica curato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il totale delle aree perimetrate come siti di interesse nazionale (Sin) è arrivato negli anni a circa 180.000 ettari di superficie, scesi oggi a 100.000 ettari, solo grazie alla derubricazione dello scorso anno di 18 siti da nazionali a regionali (i Sin sono quindi passati da 57 a 39).
Solo in 11 Sin è stato presentato il 100% dei piani di caratterizzazione previsti, primo passo del processo di risanamento che definisce il tipo e la diffusione dell’inquinamento presente e che porta alla successiva progettazione degli interventi).

Anche sui progetti di bonifica presentati e approvati emerge un forte ritardo: solo in 3 Sin è stato approvato il 100% dei progetti di bonifica previsti. In totale, sono solo 254 i progetti di bonifica di suoli o falde con decreto di approvazione, su migliaia di elaborati presentati.
Le bonifiche vanno a rilento, ma non il giro d’affari del risanamento ambientale che si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Dal 2001 al 2012 sono stati messi in campo 3,6 miliardi di euro di investimenti, tra soldi pubblici e progetti approvati di iniziativa privata, con risultati concreti davvero inesistenti.

“Le bonifiche in Italia: chimera o realtà?” è stato presentato a Roma nel corso di un convegno che ha visto la partecipazione di Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente e rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni e dell’industria.

“Sebbene i primi 15 Sin da bonificare furono identificati nel 1998, nonostante le risorse impiegate e le semplificazioni adottate, la situazione attuale è di sostanziale stallo”, ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani. “Caratterizzazioni e analisi effettuate in modo a volte esagerato e inefficace, progetti di risanamento che tardano ad arrivare e bonifiche completate praticamente assenti, a parte qualche piccolissima eccezione. Il Ministero dell’ambiente arranca, dietro alle migliaia di conferenze dei servizi e documenti, intanto i responsabili dell’inquinamento, pubblici e privati, ne approfittano per spalmare su più anni gli investimenti sulle bonifiche. Sono sempre più numerose le indagini sulle false bonifiche e sui traffici illegali dei rifiuti derivanti dalle attività di risanamento. Occorre un vero cambio di passo per fare quello che è stato già realizzato con successo in altri Paesi industrializzati”.

In questo scenario di grandi ritardi nelle attività di bonifica, un ruolo non marginale lo hanno avuto anche una parte dei soggetti responsabili dell’inquinamento. Sono numerose le storie di melina – per usare una metafora calcistica – operata dalle aziende sulle operazioni di bonifica. Lo stesso vizio viene praticato anche da aziende pubbliche o a prevalente capitale pubblico, come nel caso della Syndial nella bonifica di Crotone.

La forte concentrazione di inquinanti nell’ambiente e i ritardi negli interventi di bonifica causano anche evidenti danni alla salute. Il progetto Sentieri, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, conclusosi nel 2011 e in corso di aggiornamento, ha realizzato il profilo sanitario delle popolazioni residenti in 44 Sin: si va dall’eccesso di tumori della pleura nei Sin con l’amianto o dove l’amianto è uno degli inquinanti presenti, agli incrementi di mortalità per tumore o per malattie legate all’apparato respiratorio per le emissioni degli impianti petroliferi, petrolchimici, siderurgici e metallurgici. Sono state evidenziate malformazioni congenite e patologie del sistema urinario per l’esposizione a metalli pesanti e composti alogenati. Emergono anche gli eccessi di malattie neurologiche da esposizione a metalli pesanti e solventi organo alogenati, ma anche dei linfomi non Hodgkin da contaminazione da Pcb.

A proposito di territori dove l’inquinamento è diffuso e le bonifiche non sono mai partite, una menzione a parte la merita la Campania, con la sua Terra dei fuochi, parte del sito inquinato più vasto denominato Litorale domitio flegreo e Agro aversano. Quest’ultimo fu uno dei primi 15 Sin inseriti nel programma nazionale di bonifica nel 1998 ma un anno fa, in modo del tutto incomprensibile, è stato trasformato in Sir, sito di interesse regionale, con un decreto del Ministero dell’ambiente che lo ha declassificato con il benestare della Regione Campania. Contro questo decreto Legambiente ha presentato ricorso al Tar del Lazio e ora si attende l’atto normativo annunciato nei giorni scorsi dal ministro Orlando per farlo tornare ad essere Sin.

Dal dossier emerge chiaramente anche il rischio di illegalità e di infiltrazione ecomafiosa nel settore e non solo nelle regioni del sud Italia. Il coinvolgimento del centro-nord come luogo di smaltimento illegale dei rifiuti speciali e pericolosi emerge da molti anni nello scacchiere dei traffici illeciti, lo stesso vale anche per le bonifiche.

In base all’elaborazione di Legambiente dal 2002 ad oggi sono state 19 le indagini su smaltimenti illegali di rifiuti derivanti dalla bonifica di siti inquinati, sono state emesse 150 ordinanze di custodia cautelare, denunciate 550 persone e coinvolte 105 aziende. Queste indagini sono state concluse da 17 Procure della Repubblica di diverse parti d’Italia.

“Se non decollerà il settore delle bonifiche, non riusciremo a riconvertire il sistema produttivo italiano alla green economy”, ha concluso il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti. “Nonostante i gravi ritardi del risanamento, però alcuni casi di riconversione cominciano a concretizzarsi. Il Governo e il Parlamento devono accelerare il processo di risanamento ambientale, risolvendo anche il problema delle risorse, ma anche il mondo industriale deve fare la sua parte mettendo in campo azioni concrete, bonificando in tempi non geologici i suoli e le falde inquinate, con adeguate risorse economiche e umane, per risanare le gravi distorsioni di uno sviluppo corsaro e distruttivo, che ha reso inutilizzabili intere aree del Paese, creando piuttosto quell’auspicabile equilibrio tra ambiente, salute e lavoro che può aprire un prospettiva concreta di lavoro e di sviluppo”.

Per avviare concretamente i processi di risanamento ambientale in Italia, Legambiente presenta 10 proposte, elencate nel proprio sito, che vanno dalla garanzia di maggiore trasparenza sul Programma nazionale di bonifica al ridimensionare il ruolo della Sogesid, società pubblica attiva sulla gran parte dei Sin e al centro di recenti indagini giudiziarie.

 

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