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L’inquinamento elettromagnetico..ERT

Le sostanze in grado di danneggiare il DNA delle cellule vengono considerate cancerogeni potenziali e sono chiamate genotossine, o sostanze dotate di attività genotossica. Gli studi in vivo del danno da campi a radiofrequenza su i DNA e cromatina hanno portato ad un insieme di conclusioni in contrapposizione tra loro. Non si è osservato nessun aumento nel rateo degli SCE (scambio tra cromatidi fratelli) o delle aberrazioni cromosomiche in seguito all’esposizione di tessuti animali a livelli non termici di radiazioni RF. Tuttavia, ci sono studi che supportano l’evidenza del danno strutturale al DNA in tessuti cerebrali e del testicolo, isolati da topi dopo esposizione non termica a campi RF. I risultati relativi a questi studi potrebbero in ogni caso essere attribuiti a fattori diversi dal danno strutturale diretto da campi RF. Per esempio, nello studio di Lai e Singh 1’aumento delle rotture nella catena del DNA nei tessuti esposti era uguale, o maggiore, a due ore di distanza dalla fine dell’esposizione che immediatamente dopo. Diverse ipotesi alternative potrebbero spiegare tali osservazioni.

Una suggerisce che il livello elevato di rotture potrebbe attribuirsi ad un effetto della radiazione RF sulla struttura del DNA che non implichi una diretta distruzione di doppi legami. Ad esempio, un effetto del campo RF sulla conformazione ad elica del DNA potrebbe facilitare rotture della catena tramite la produzione di radicali ossigeno endogeni durante il normale metabolismo aerobico. L’effetto sulla conformazione ad elica potrebbe essere riparato lentamente, ed in tal modo la rottura della catena da parte di tali radicali può continuare per un periodo di tempo significativo dopo la fine dell’esposizione. Una seconda ipotesi alternativa è che, in modo ancora non chiaro, la radiazione RF inibisca il meccanismo enzimatico cellulare normale di riparazione del danno alla catena nucleotidica causato dalle specie radicali. Recentemente sono stati effettuati ulteriori studi su volontari esposti a RF: si è riscontrato che l’ esposizione non ha alcun effetto sulla secrezione notturna di melatonina. Nel 1999, l’equipe di Preece ha ipotizzato che l’esposizione di volontari a radiazioni RF da telefonini potrebbe diminuire i tempi di reazione. La notizia è stata amplificata dalla stampa, ma bisogna sottolineare che l’effetto è stato rilevato solo su uno dei molti valori delle funzioni cognitive, ed appare di gran lunga troppo piccolo per avere un qualsivoglia reale significato funzionale. Wang e Lai hanno rilevato che ratti esposti a radiazione in radiofrequenza pulsata a 2450 MHz mostravano “difetti nella memoria a lungo termine”. Le cavie esposte a RF erano più lente di quelle normali ad imparare a muoversi, in un labirinto. Le cavie erano state esposte a RF sull’intero corpo per 1 ora/giorno. Il SAR medio era di 1.2 W/kg con picchi di 3-4 W /kg. Il segnale è completamente differente da quello prodotto da una stazione trasmittente e il SAR di picco può essere stato abbastanza alto da provocare stress termico. L’intensità di esposizione (SAR) era 15 volte maggiore dello standard per l’esposizione non professionale sull’intero corpo.

Normativa vigente

Diverse organizzazioni di riconosciuto prestigio internazionale hanno emanato normative per la protezione della popolazione e dei lavoratori dai campi elettromagnetici. Al di là di alcune differenze nei valori numerici di alcuni limiti, e di qualche aspetto metodologico di un certo rilievo, queste normative presentano sostanziale identità dal punto di vista delle basi scientifiche e razionali. Un aspetto fondamentale comune è la struttura a due livelli: veri e propri limiti di esposizione (detti limiti di base) vengono fissati in termini delle grandezze dosimetriche (densità di corrente e SAR), mentre per le grandezze radiometriche (intensità del campo elettrico e magnetico, densità di potenza) vengono indicati dei livelli di riferimento, dedotti cautelativamente dai limiti di base ipotizzando le più sfavorevoli condizioni di esposizione. Ne consegue che il rispetto dei livelli di riferimento implica sempre quello dei limiti di base, mentre non è necessariamente vero il contrario.