L’uso crescente delle materie plastiche per la produzione di manufatti “a perdere” (shoppers, contenitori, bottiglie, ecc.) ha progressivamente dilatato l’importanza della problematica ambientale connessa con “l’abbandono” incontrollato di tali oggetti.
Occorre considerare, infatti, che le materie plastiche di maggior utilizzo (essenzialmente polietileni a bassa e ad alta densità, polivinilcloruro, polipropilene, poliestere), pur subendo specifici processi di invecchiamento ad opera degli agenti ambientali, presentano generalmente una inerzia, chimica e biologica, tale da consentire la loro permanenza, in condizioni sostanzialmente inalterate, per periodi molto più lunghi del loro effettivo tempo di impiego. Attualmente non esiste un quadro conoscitivo completo e consolidato sui meccanismi e sulle cinetiche della degradazione dei polimeri sintetici nell’ambiente naturale.
Il meccanismo primario di degradazione è attivato dalla componente ultravioletta (290-400 nm) delle luce solare la quale può provocare la rottura del legami C-C; la partecipazione dell’ossigeno atmosferico a tale processo genera idroperossidi, gruppo termolabili che a loro volta innescano una reazione a catena la quale, in ultima analisi, conduce ad una caduta delle caratteristiche meccaniche.
Le variazioni strutturali derivanti dai processi fotodegradativi promuovono la frantumazione dell’oggetto (a causa del decadimento delle proprietà meccaniche e della conseguente minor resistenza agli agenti meccanici naturali quali il vento e la pioggia) e l’inizio dell’attacco microbico (a seguito della diminuzione della complessità molecolare, con conseguente aumento anche della permeabilità all’ossigeno e all’umidità. Nel caso di smaltimento in discarica del materiale plastico, viene a mancare o si riduce in misura significativa l’azione primaria esercitata dalla fotodegradazione e, di conseguenza, l’attacco microbico è di molto più difficile attivazione. I principali fattori che condizionano l’efficacia di un processo biodemolitivo operante sui polimeri sintetici sono:
– la natura dei legami chimici;
– la configurazione (la biodegradazione è inibita dalle ramificazioni laterali) e il peso molecolare;
– la capacità di assorbire acqua;
– il rapporto superficie/volume.
Particolarmente importante è l’influenza esercitata dal peso molecolare: per esempio nel caso del polietilene a bassa densità l’attività dei microrganismi sembra iniziare soltanto quando il peso molecolare è sceso a valori inferiori a 500. Questo dato bene evidenzia la sostanziale inerzia chimica delle materie plastiche tradizionali:
occorre considerare, infatti, che la fotodegradazione richiede tempi superiori ad un anno, anche quando il processo avviene in condizioni di esposizione particolarmente favorevoli, per trasformare un polietilene a bassa densità in un prodotto polimerico con peso molecolare residuo di 7000 ÷ 8000, cioè ancora molto lontano dalle condizioni che possono promuovere l’insorgere della biodegradazione.
Pertanto, almeno alla luce dei dati finora disponibi1i, la fotodegradazione naturale dei polimeri sintetici non raggiunge livelli tali da rendere poi possibile la biodegradazione degli stessi, e quindi non risolve il problema ambientale conseguente all’uso delle materie plastiche; anzi, in qualche misura, il problema può aggravarsi in quanto viene ad essere favorita la mobilità nell’ambiente dei frammenti generati per fotodegradazione con evidenti implicazioni a livello ecotossicologico.
Come già detto, il grado conoscitivo sull’argomento appare, nel suo complesso, assai carente, come, d’altra parte, non sufficientemente noto è anche il comportamento del materiali alternativi alle materie plastiche (per esempio la carta), di cui si postula la non persistenza e nocività ambientale, senza però tenere a conto degli effetti negativi sulla biodegradabilità che potrebbero discendere dai trattamenti di rifinitura al fine di migliorarne talune proprietà di impiego. L’inquadramento del problema, sopra delineato, mette in evidenza che gli aspetti principali sui quali articolare la ricerca sono la fotodegradazione (tema A) e la biodegradazione (tema B) delle materie plastiche; il comportamento di questi materiali va messo a confronto con quello di materiali alternativi (tema C). I tre temi, peraltro, appaiono strettamente interconnessi e difficilmente separabili dal punto di vista della ricerca sperimentale.
Tema A
La fotodegradazione naturale dei polimeri sintetici tradizionali non raggiunge livelli tali da rendere poi possibile la biodegradazione. Il processo può, tuttavia, essere attivato e accelerato attraverso adatti mediatori. I semiconduttori sono fra i più noti ma il loro impiego alle stato di polvere, come è nel caso dei semiconduttori tradizionali, presenta notevoli inconvenienti operativi. L’ipotesi di utilizzare membrane polimeriche semiconduttrici sembrerebbe corrispondere a condizioni sperimentali più agevoli ed in tal senso i polimeri semiconduttori rappresentano una recente utilissima innovazione. Recenti ricerche hanno evidenziato l’efficacia di un processo realizzato accoppiando alla mediazione da parte del semiconduttore, la catalisi di un enzima ossidasi. Pertanto, di grande interesse appare una ricerca mirata a valutare, rispetto ai corrispondenti processi non catalizzati o catalizzati soltanto da un semiconduttore tradizionale, l’effetto di una doppia catalisi (semiconduttore organico + enzima ossidasi) sulla fotodegradazione di alcuni inquinanti plastici al variare delle condizioni operative, in particolare del tempo di irraggiamento, della lunghezza d’onda, del rapporto area/volume.
Tema B
Assai carente appare lo stato conoscitivo attuale sui meccanismi e sulle cinetiche di biodegradazione delle materie plastiche tradizionali negli ambienti naturali.
Pertanto, di grande interesse appare uno studio dedicato all’approfondimento del seguenti punti:
1) definizione della correlazione fra le modificazioni di struttura molecolare provocate dai processi fotodegradativi e la biodegradabilità del materiale fotodegradato;
2) studio dell’influenza sulla biodegradabilità esercitata dagli additivi che accompagnano il materiale polimerico nella formulazione della carica (stabilizzanti, antiurto, plastificanti, fibre di rinforzo, ritardanti di fiamma, antistatici, coloranti, antiossidanti, ecc.);
3) studio della tossicità dei prodotti intermedi della biodegradazione dei polimeri e degli additivi, al fine di evitare il rischio di avviare processi incontrollati di contaminazione ambientale.
4) studio degli effetti della biodegradazione sulle proprietà meccaniche dei materiali polimerici in studio.
Tema C
Tra i materiali alternativi, oltre naturalmente ai materiali cellulosici (carta), materie plastiche basate sul poliidrossialcanoati di origine batterica (ad esempio i poli-B-idrossibutirrato) e su pullulani da fonti microbiche: tali biopolimeri infatti si prospettano come plastiche alternative per svariati impieghi il cui costo attualmente elevato può essere controbilanciato, in taluni specifici settori applicativi, da una supposta completa biocompatibilità e da una suscettibilità a rapida biodegradazione.
Sarà infine interessante analizzare anche miscele polimeriche (blends) costituite dalle macromolecole naturali sopra indicate e da taluni polimeri sintetici.