Energia per l’Africa: tra grandi progetti statali e piccole iniziative diffuse sul territorio

Il continente africano ha tutti i numeri per poter diventare il nuovo paradiso per le fonti rinnovabili e per la generazione elettrica con un modello misto: piccole comunità autosufficienti e rete di distribuzione tradizionale
Con un tasso di crescita costante per tutto l’ultimo ventennio l’Africa si sta dimostrando un buon investimento: dopo gli anni bui del ventennio 1970-1990 dove si era palesata una caduta di tutti gli indici di sviluppo. La dimostrazione sta nella crescita costante, superiore al 3,5% per cinque anni consecutivi del PIL pro capite. La crescita è stata di buona qualità, ovvero non trainata solo dai consumi ma, soprattutto dagli investimenti e dal commercio intra-stati e internazionale. Però bisogna anche tener conto di alcuni limiti di questa crescita: in primis il fatto che si tratta di numeri proporzionalmente piccoli rispetto al PIL pro capite di altre nazioni, in particolare delle economie, emergenti e non, asiatiche e poi anche per il problema della sovrapopolazione del continente africano che influenza la distribuzione del PIL tra moltissimi soggetti (Figura 1).
Il rapporto tra risorse e PIL
Se andiamo ad analizzare la crescita tra i diversi paesi possiamo individuare due categorie principali: i paesi ricchi di risorse naturali e quelli che invece ne sono privi o non ne hanno in abbondanza. La differenza di crescita del PIL tra i primi e i secondi è di oltre un punto percentuale a favore dei primi. La World Bank nel suo ultimo rapporto individuava due macro categorie di paesi sub sahariani in Africa: in base alla ricchezza di risorse e in base alla crescita del PIL. Per la prima categoria si intendono i paesi ricchi di risorse naturali in cui il settore minerario e petrolifero sono sviluppati e anche il settore delle costruzioni è in crescita. Per i secondi si differenzia tra crescita robusta e crescita debole dove il confine è tracciato all’1,7% del PIL. Queste distinzioni sono, inoltre, influenzate dalle caratteristiche di stabilità politica di un paese, ovvero dalla sua maturità istituzionale e la presenza, o assenza, di conflitti interni o guerre con i paesi confinanti (Figura 2).
Andando ad analizzare la crescita dei paesi africani, ciò che colpisce è che essa risulta slegata dalla produzione manifatturiera ma legata ad agricoltura e servizi. Al contrario delle economie asiatiche quelle africane hanno poco sviluppato il settore manifatturiero andando direttamente al settore dei servizi. Il risultato è interpretabile in ragione della mancanza cronica di logistica negli stati africani e di energia per i processi produttivi. Balza subito agli occhi come i problemi di approvvigionamento energetico e di accesso all’energia elettrica siano in contrasto con questa crescita.
L’accesso all’energia
I 15 anni di crescita economica sostenuta sono affetti dalla scarsità di energia e dal limitato l’accesso all’elettricità e dipendenza da biomasse (la legna è ancora tra i primi combustibili del paese) stanno minando gli sforzi per ridurre la povertà.
Il gap di energia tra l’Africa e il resto del mondo, si sta allargando: ad esempio il gap tra i consumi di energia pro capite tra la popolazione africana e quella asiatica è andato diminuendo: era del 30% 15 anni fa, ora è del 24% con buone prospettive di calo.
Non sono i paragoni con l’Asia ma le cifre sul totale a dare l’allarme: l’Africa sub-sahariana è disperatamente a corto di energia elettrica. La rete elettrica della regione ha una capacità di trasporto per soli 90 GW di potenza di generazione la cui metà si trova in un unico paese, il Sud Africa. Per dare un’idea delle proporzioni il consumo di elettricità in Spagna supera quello di tutta l’Africa sub-sahariana. Escludendo il Sud Africa il consumo pro capite annuale è di 162kWh da paragonare a una media mondiale di 7.000 kWh: questo dà la misura vera della scarsità di energia dove l’africano medio consuma in 8 anni quanto uno statunitense in un mese.
Sui 621 milioni di abitanti dell’Africa sub sahariana, due terzi non hanno accesso all’energia elettrica e anche nei paesi ricchi, ovvero quelli ricchi di risorse petrolifere come Angola e Nigeria, le percentuali di popolazione senza accesso sono del 15 e del 35% rispettivamente Figura 3).
La comunità internazionale ha indicato il 2030 come anno limite affinché la maggioranza della popolazione sub sahariana abbia accesso all’energia elettrica ma, al ritmo attuale, non si raggiungerà l’obiettivo prima del 2080, un tempo lunghissimo.
Il primo vero problema degli stati africani è che troppa finanza pubblica ha monopolizzato le sovvenzioni e gli incentivi alle fonti fossili, oltretutto in modo inefficiente e iniquo, secondo un rapporto WB del 2014.
La spesa totale dei governi degli stati subsahariani africani ammonta a 21 miliardi di dollari l’anno per la copertura dei debiti delle utility e per le sovvenzioni per la produzione di energia da prodotti petroliferi, sostanzialmente privando e sottraendo risorse ad investimenti energetici più produttivi ad esempio nelle generazione da fonti rinnovabili.
Il risultato di queste politiche è che 138 milioni di famiglie composte da persone che vivono con meno di 2,50 dollari al giorno stanno spendendo 10 miliardi di dollari ogni anno in prodotti energetici, come carbone, candele, kerosene e biomassa (legna da ardere). Tradotto in termini di costo equivalente queste famiglie spendono circa 10 $/kWh per l’illuminazione, che è di circa 20 volte quanto speso dalle famiglie ad alto reddito, con un collegamento alla rete.
Franco Pecchio
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