Immaginate un capannone col tetto dalla copertura sconnessa che lascia passare la pioggia, e immaginate un mucchio di terra scura per terra, e immaginate un bancone e una giovane donna, laureata in fisica e in matematica, che, al caldo e al freddo, passa le sue giornate a trattare quella terra scura a venti chili per volta, con acidi, e a filtrare e a ridisciogliere i residui con altri acidi ancora. E immaginate suo marito, un giovane professore di fisica che, accanto a lei, controlla ogni frazione di materiale separato con un apparecchio (di sua invenzione) che misura la presenza dei “raggi” che provocano una scarica elettrica fra due elettrodi. Raggi simili a quelli emessi dall’uranio e dal torio.
Siamo a Parigi negli ultimi anni dell’Ottocento, un secolo fa. La giovane fisica, di origine polacca (si chiamava Marie Sklodowska, sposata Curie), aveva osservato che un minerale di uranio, la pechblenda, emanava i misteriosi ”raggi dell’uranio” in quantità molto maggiore di quanto potesse essere giustificato dal suo contenuto di uranio: era come se nel minerale fosse presente un altro elemento molto più attivo dell’uranio stesso. Maria e il marito Pierre Curie, dopo un gran numero di separazioni, nel giugno del 1898 poterono riferire di aver identificato un nuovo elemento chimico molto attivo, con proprietà chimiche simili a quelle del bismuto. “Suggeriamo”, scrissero nella loro pubblicazione, “che il nuovo elemento sia chiamato ‘polonio’ dal nome del paese di origine di uno di noi”.
Dopo altri sei mesi di lavoro poterono descrivere l’esistenza di un altro elemento ancora, che emanava i raggi dell’uranio con una intensità un milione di volte superiore a quella dell’uranio, con comportamento chimico simile a quello del bario, e chiamarono la nuova sostanza “radio” e il fenomeno “radioattività”. Per queste ricerche Martie Curie ottenne due premi Nobel, uno per la fisica nel 1903 e uno per la chimica nel 2011, esattamente cento anni fa, tanto che per ricordare questa persona e questo evento il 2011 è stato dichiarato Anno Internazionale della Chimica.
Il polonio, simbolo Po, ha peso atomico medio di 209; medio perché la sua casa è affollata di fratelli, 33 isotopi, tutti radioattivi, aventi peso atomico fra 188 e 220; il più comune è il Po-210 che perde la metà della sua radioattività in 138 giorni trasformandosi in piombo-206 con emissione di una particella alfa. In questo decadimento emette una grande quantità di energia tanto che è stato usato come fonte di calore per alimentare le celle termoelettriche in alcuni satelliti artificiali; per esempio è stato usato come fonte di calore nella fredda notte lunare per il robot sovietico che è stato lanciato sulla Luna.
di Giorgio Nebbia