L’ossigeno finito nell’atmosfera e altri gas e l’acqua hanno trasformato il ferro metallico originale in ossidi, idrati, carbonati, solfuri eccetera, e il prezioso elemento metallico è rimasto nascosto. Fino a quando, circa tremila anni fa, qualcuno ha scoperto che, trattando alcuni minerali con legna e carbone di legna a caldo, si liberava un materiale duro e resistente adatto per fabbricare frecce, martelli, scalpelli, aratri. Ci sarebbe voluto del tempo per riconoscere che tale materiale, chiamato ferro, era in realtà costituito da innumerevoli leghe, con molti altri elementi, dell’elemento ferro con peso atomico circa 56.
Nel trattamento con carbone di legna dei minerali si liberava ferro con una quantità maggiore o minore di carbonio; soltanto per riscaldamenti successivi si riusciva a recuperare ferro metallico quasi puro, il “ferro dolce”, che, però, serviva a poco; molto migliori erano certe leghe di ferro col carbonio che furono più tardi conosciute come acciai. Se l’età del ferro è durata circa tremila anni, soppiantando l’età del bronzo, l’età dell’acciaio è iniziata circa trecento anni fa. Da quel momento il ferro è diventato un materiale strategico, prodotto in tutti i paesi con processi sempre più raffinati.
Il principale processo consiste nel trattare i minerali di ferro con carbone coke, e nel trasformare il ferro in una leghe ferro-carbonio che fonde facilmente e che fu chiamata ferraccio o ghisa. Anche se si ottiene abbastanza facilmente, la ghisa è fragile e serve a poco, tanto è vero che la maggior parte della ghisa viene sottoposta a trattamenti successivi ad alta temperatura per portarle via gran parte del carbonio presente e trasformarla in leghe ferro-carbonio contenenti circa uno percento di carbonio, gli acciai, appunto.
La chimica del ferro ha impegnato grandi ingegni di scienziati e tecnici, fra cui il francese René Reaumur (1683-1757) che, in una celebre pubblicazione sull’”arte” della fabbricazione del ferro e dell’acciaio, nel 1722 ha descritto gli esperimenti con cui era riuscito a svelare il “segreto” degli antichi fabbricanti di acciaio; spiegò anche che era possibile ottenere acciaio fondendo insieme ghisa e ferro dolce. Nel 1784 l’inglese Henry Cort (1740-1800) brevettò un processo per la trasformazione della ghisa in ferro dolce agitando con una “pala”, ad alta temperatura all’aria, la ghisa fusa, ottenendo in questo modo una parziale ossidazione del carbonio presente nella ghisa.
Da allora chimica e metallurgia insieme riuscirono a scoprire l’effetto che certi elementi, presenti nei minerali, permettevano di ottenere acciai migliori (il caso del manganese) o peggiori (il caso del fosforo). Da allora fu un continuo progresso per la produzione industriale di acciaio dalla ghisa, per ottenere acciaio trattando insieme ghisa e rottami, fino all’attuale processo che trasforma la ghisa in acciaio mediante trattamento con ossigeno liquido.
Gli oggetti di ferro e anche acciaio hanno l’inconveniente di essere attaccati, più o meno rapidamente, dagli agenti esterni, soprattutto acqua, sali, ossigeno dell’aria che trasformano il ferro in ossidi che costituiscono la ruggine. Il ferro usato può essere trasformato di nuovo in acciaio mediante processi di fusione dei rottami. I primi forni elettrici comparvero alla fine dell’Ottocento e ormai circa la metà dei 1.400 milioni di tonnellate di acciaio prodotto nel mondo è ottenuto per rifusione dei rottami, uno dei più antichi processi di riciclo dei materiali.
Una svolta importante nell’industria siderurgica si è avuta quando è stato inventato l’uso di fili di acciaio per rinforzare il cemento negli edifici. Il “cemento armato” è stato inventato dal francese Joseph Monier (1823-1906) intorno alla metà dell’Ottocento e dal 1900 in avanti fu usato sempre più spesso nelle costruzioni di edifici, contribuendo al consumo di crescenti quantità di acciaio sotto forma di “tondini”. Intanto le ricerche mostrarono che il ferro assumeva diverse condizioni fisiche col variare della temperatura e della pressione, col che aumentarono le possibilità del suo impiego nei più svariati campi.
Uno degli ossidi naturali del ferro è la magnetite che, con grande sorpresa degli antichi, aveva la proprietà di attrarre alcuni metalli e di orientarsi verso il nord. Questa proprietà “magnetica” è stata utilizzata per fabbricare, probabilmente intorno a mille anni fa, la bussola, uno strumento che aiuta i naviganti a riconoscere la direzione del nord. Il magnetismo di varie forme del ferro ne ha poi diffuso l’impiego in elettrotecnica.
Infine il ferro ha un importante ruolo in biologia in quanto è presente nell’ematina che fa parte dell’emoglobina, la sostanza che presiede al trasporto dell’ossigeno nel sangue.
di Giorgio Nebbia