Pochi elementi sono stati amati e odiati fervidamente come il cloro, Cl, elemento con peso atomico 35, abbondante in natura soprattutto perché combinato con il sodio nel comune e prezioso sale marino, indispensabile per l’alimentazione umana, per la conservazione della carne e delle pelli. Per millenni il cloro come elemento è rimasto nascosto, saldamente combinato col sodio; anche quando i chimici hanno scomposto il cloruro di sodio trattandolo con acido solforico, e hanno liberato l’acido cloridrico, il cloro è rimasto sconosciuto come elemento. E perfino il grande chimico svedese Carl Scheele (1742-1786), che lo produsse ossidando l’acido cloridrico con biossido di manganese, non capì che il gas che si liberava era un elemento.
Ci sarebbe voluto l’inglese Humphry Davy (1778-1829) a riconoscere l’esistenza del cloro elementare il quale cominciò da allora una vita travagliata. Fu ben presto scoperto che poteva essere recuperato ossidando l’acido cloridrico, il sottoprodotto inquinante della produzione del carbonato di sodio col processo Leblanc, e trovò un mercato quando si scoprì che col cloro potevano essere disinfettate le acque e sbiancati i tessuti e la carta. Una volta conosciuto, il cloro si dimostrò adatto a trasformare molte sostanze organiche, destinate a varia sorte. Dapprima lodate, come nel caso del cloroformio che poteva sostituire con successo il pericoloso etere etilico come anestetico, poi riconosciuto dannoso; simile sorte toccò ai solventi clorurati, non infiammabili, che potevano sostituire la benzina nelle estrazioni dei grassi industriali e nel lavaggio industriale, ma anch’essi trovati cancerogeni.
Ma il massimo dello scandalo si ebbe nella prima guerra mondiale quando le fertili menti dei chimici tedeschi scoprirono che il cloro gassoso poteva essere usato come gas asfissiante; a dire la verità lo usarono anche gli altri belligeranti ma al nome del tedesco Fritz Haber (1868-1934) è rimasta incollata l’infamia del primo uso di aggressivi chimici in guerra. Da allora in avanti il cloro ha trovato crescenti impieghi nell’industria chimica, soprattutto nella chimica organica industriale, tanto da diventare un importante co-prodotto dell’industria elettrolitica che, partendo dal sale, produce, insieme, in quantità quasi uguali, idrato di sodio e cloro.
Dovunque il cloro entrava in qualche molecola ne migliorava le caratteristiche, soprattutto rendendole ininfiammabili. Nacque così l’industria delle materie plastiche clorurate a base di cloruro di vinile, facilmente ottenibile dalla reazione del cloro con etilene. Il cloruro di vinile poteva essere facilmente trasformato in numerose resine poliviniliche che si dimostrarono di grande utilità per rivestimenti dei fili elettrici, tubi non corrosivi per acque, pellicole. Purtroppo per il cloro, ben presto, già negli anni cinquanta del Novecento, si è visto che il cloruro di vinile era un potente cancerogeno e quindi gli operai che lo producevano erano esposti a gravi rischi. Come se non bastasse, nell’incenerimento dei rifiuti contenenti cloruro di polivinile liberava il corrosivo acido cloridrico.
Il cloro continuava la sua corsa al successo entrando come ingrediente nella fabbricazione di potenti insetticidi e erbicidi, ma tale successo fu presto compromesso quando si scoprì che molti di questi erano non biodegradabili e persistenti e dai campi, disciolti nei grassi, arrivavano nel corpo degli animali e anche in quello umano. Salutato con entusiasmo per essere riuscito a sconfiggere la malaria in molte zone, il DDT, un insetticida contenente vari atomi di cloro nella molecole, si rivelò tossico e ne fu ridotto l’uso. Simile sorte ebbero altri erbicidi clorurati e il colpo mortale fu dato dalla scoperta che, durante il riscaldamento di qualsiasi molecola organica contenente cloro si formava un nuovo potente cancerogeno clorurato, la diossina. Nonostante tanti inconvenienti e contestazioni il cloro continua il suo pur contrastato cammino e nel mondo se ne producono ancora circa 70 milioni di tonnellate all’anno.
di Giorgio Nebbia