“Disinfettati gli occhi con l’acido borico”; mi torna alla mente questa frase ascoltata tanti decenni fa. Poi, quando sono stato a scuola, l’insegnante di geografia mi parlava con orgoglio dei soffioni boraciferi di Larderello ed è stato il mio secondo incontro con quello che, più tardi, avrei imparato a conoscere come boro, l’elemento con simbolo B e peso atomico 11, il quinto della tabella di Mendeleev.
Il chimico ufficiale del Granducato di Toscana nel 1777 aveva riconosciuto che la polvere bianca giallastra presente nei fanghi che si formavano accanto ai soffioni di Larderello era costituita da acido borico e un imprenditore di origine francese, Francesco de Larderel (1789-1858), negli anni venti dell’Ottocento, ottenne dal Granduca il monopolio della produzione, raffinazione ed esportazione dell’acido borico. De Larderel, nel frattempo nominato principe, scoprì che il calore del vapore poteva essere usato per far evaporare i fanghi contenenti acido borico, poi il marito di una nipote, Piero Ginori Conti (1865-1940) scoprì che tale calore poteva essere usato per azionare una turbina collegata a una dinamo, e faceva nascere l’industria geotermoelettrica moderna.
Nel frattempo negli Stati Uniti erano stati scoperti grandi giacimenti di borace, uno dei sali dell’acido borico e l’importanza dell’acido borico toscano declinò. La produzione fu abbandonata del tutto negli anni cinquanta del Novecento e sostituita con la produzione di acido borico dl borace di importazione dalla Turchia. A dire la verità il borace, tetraborato di sodio, era noto da tempi antichissimi. Lo conoscevano i Greci, se ne conoscevano giacimenti nel Tibet dove era chiamato tinkal; i Cinesi lo usavano, già nel 300 dopo Cristo, ed è descritto dai chimici arabi del Medioevo. Lo stesso nome del sale viene dall’arabo buraq. Georg Agricola (1494-1555), nel suo trattato sull’arte mineraria pubblicato postumo nel 1556, riconosce che il borace era utile come fondente in metallurgia.
Non è stato facile separare il boro dall’acido borico e dal borace. Ci hanno provato Humphry Davy (1778-1829), Gay Lussac (1778-1859) e Thénard (1777-1857) nei primi anni dell’Ottocento; nel 1824 Jacob Berzelius (1779-1849) riconobbe che il boro era un elemento. Sembra però che il boro puro sia stato prodotto per la prima volta soltanto nel 1909 dal chimico americano Ezekiel Weintraub.
Il principale uso dei sali del boro è nella preparazione di ingredienti per i detersivi. Nel 1876 è stato scoperto che, trattando il borace con acqua ossigenata, si otteneva un sale, il perborato, adatto come ossidante e sbiancante, anche per dentifrici. Il borace è usato anche come additivo per le vetroresina, per smalti nell’industria ceramica. L’acido borico, dotato di proprietà disinfettanti, è stato addizionato al talco per cosmetici, fino al 1978 quando l’acido borico è stato tolto dal borotalco. Il carburo di boro è un abrasivo durissimo; l’idruro di boro è stato usato come propellente per missili. Il boro come tale viene usato per la preparazione di semiconduttori e nell’industria nucleare. Il principale produttore mondiale di borace è la Turchia, con circa 1,4 milioni di tonnellate all’anno (espresse come B2O3), seguita da Stati Uniti, circa altrettanto, poi da Argentina e Cile, per un totale di circa 4 milioni di t/anno.
di Giorgio Nebbia