L’Italia produce circa 10-11 milioni di tonnellate all’anno di latte ma, per accordi “europei”, ne deve produrre meno di quanto potrebbe per permettere ai produttori di altri Paesi di esportare una parte del loro latte in Italia (circa 8 milioni di t/anno) come latte fresco o “contenuto” nei prodotti lattiero-caseari.
Il latte è un’emulsione, cioè una fine dispersione in acqua, di circa il 3-3,5% di grasso col 4-5% di zuccheri e sali minerali e con circa il 3% di proteine. Queste ultime sono in parte caseine, poco solubili in acqua, e in parte albumine o sieroproteine, solubili in acqua. Nel latte appena munto le sieroproteine rappresentano circa il 18% delle proteine totali; tale percentuale diminuisce se il latte è stato trattato col calore e diminuisce in proporzione alla intensità del trattamento termico che le fa diventare sempre meno solubili in acqua. Ad esempio, in un latte di buona qualità che ha subito una sola pastorizzazione, il trattamento inventato dal grande chimico francese Louis Pasteur (1822-1895), per uno o due secondi a 72°C le sieroproteine solubili diminuiscono dal 18 al 16%, rispetto alle proteine totali.
Ma se il latte è pastorizzato a temperature più elevate o per tempi più lunghi, come è necessario quando la carica microbica iniziale è alta, o quando il latte è stato munto alcuni giorni prima o ha affrontato un lungo viaggio, allora le sieroproteine solubili scendono anche al di sotto del 10%. Nel latte sterilizzato, trattato ad alta temperatura, la denaturazione delle sieroproteine è maggiore e quelle solubili diminuiscono anche al 5%, sempre rispetto alle proteine totali.
Ma le proteine sono importanti non solo come indicatori della qualità, ma soprattutto perché sono ricche di amminoacidi essenziali ed hanno quindi un alto valore nutritivo. Circa due terzi del latte consumato in un anno in Italia (con un contenuto di circa 350.000 t di proteine) viene avviato alla produzione di burro e formaggio; in questa trasformazione agro-industriale da 50 a 100 mila t all’anno di preziose proteine finiscono nel siero, il sottoprodotto in parte scaricato nell’ambiente e fonte di inquinamento, e in parte usato per l’alimentazione del bestiame.
Non varrebbe la pena di investire tempo e soldi nelle ricerche per recuperare ogni chilogrammo possibile di proteine del latte, per progettare nuove forme di integrazione proteica dei cibi poveri? Ci sarebbe lavoro per noi, minore inquinamento, un po’ meno affamati e un po’ più di solidarietà.