Il suolo è una risorsa non rinnovabile, che in Italia va perduta al ritmo di 7 m2 al secondo (dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – Ispra) e che deve essere tutelata con provvedimenti urgenti ed efficaci, come il disegno di legge sul consumo di suolo in discussione in Parlamento. Questo il messaggio al centro dell’e-book ‘Il consumo di suolo: strumenti per un dialogo’, pubblicato dall’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet-Cnr) e che raccoglie i contributi degli esperti e dei portavoce della società civile intervenuti all’omonimo convegno organizzato dal Cnr all’Expo di Milano, per discutere le criticità del nostro territorio e formulare proposte condivise rivolte ai decisori politici.
“La soluzione di questo problema è indifferibile: si calcola che il 20% della fascia costiera italiana sia ormai perso, in una cementificazione che non ha risparmiato neanche 34.000 ettari di aree protette e zone a rischio idrogeologico, come riportato nell’ultimo rapporto sul consumo di suolo redatto da Ispra, che si occupa anche del monitoraggio a livello nazionale”, afferma Michele Munafò dell’Ispra. “Questa progressiva impermeabilizzazione del territorio insiste soprattutto sulle zone pianeggianti più fertili e produttive e impedisce non soltanto l’assorbimento delle piogge, aumentando il rischio di alluvioni, ma anche lo stoccaggio di CO2 di cui il comparto suolo è responsabile per il 20%, a tutto danno dell’atmosfera. Un destino amaro quello del fragile suolo italiano, consumato a velocità record con danni irreversibili per l’umanità e per l’ambiente”.
Ne emerge una visione del suolo non più come superficie edificabile o merce, ma come entità deperibile da preservare tramite azioni comuni per tutte le regioni e una progettazione sostenibile che tuteli il territorio. “In un modello di sviluppo sostenibile la valutazione economica di ogni ciclo produttivo non riguarda solo i costi in termini di bilancio fra perdite e guadagni, ma anche i costi ambientali, sociali e umani di ogni sistema”, chiarisce Letizia Cremonini, curatrice del volume. “La conservazione delle risorse naturali è un prerequisito per lo sviluppo economico: questa è la strategia di pensiero e politica promossa dall’Unione europea per risolvere le problematiche delle città europee e perseguire una migliore qualità di vita”.
La tavola rotonda, che si è tenuta a luglio, è stata un’occasione per ragionare sulla proposta di legge depositata in Parlamento. “Il nostro obiettivo era far valutare il testo a esperti dei molteplici settori che insistono sulla tematica dell’uso del suolo”, spiega Teodoro Georgiadis, ricercatore dell’Ibimet-Cnr e coordinatore dell’evento. “La speranza è che i contenuti così raccolti possano contribuire a migliorare una legge dello Stato che ancora non raggiunge una sintesi compiuta per risolvere le preoccupazioni della società civile, sebbene esprima la volontà di salvaguardia del territorio. L’uscita di questo volume avviene in un momento cruciale dell’iter legislativo del Ddl, approvato il 28 ottobre dalle Commissioni Ambiente e Agricoltura e tuttora in fase di esame alla Camera”.
Gli esperti intervenuti al convegno hanno toccato i diversi aspetti del tema, da quelli climatici e tecnologici a quelli decisionali, come Samuele Segoni che ha anticipato limitazioni e incentivi previsti dal Ddl per azzerare il consumo di suolo entro il 2050.
I dati Ispra del rapporto 2015 sull’uso del suolo in Italia evidenziano come la percentuale di suolo coperta da edifici, capannoni, strade e servizi, ovvero impermeabilizzata, rispetto al totale della superficie nazionale è passato dal 2,7% degli anni Cinquanta al 7% del 2014.
Al Nord si registra un valore maggiore, pari al 7,8%, rispetto che al Centro e al Sud, dove le percentuali di suolo cementificato sono il 6,6% e 6,2% rispettivamente.
Considerando il consumo a livello regionale, al primo posto c’è la Lombardia con l’11%, poi il Veneto con il 10% e al terzo posto la Campania con il 9%. Le regioni più virtuose sono invece Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta con un consumo pari al 3%, meno della metà della media italiana.
Il quadro cambia in maniera significativa se si considera il consumo di suolo effettivo, cioè calcolato escludendo le aree naturalmente protette dalla cementificazione: le superfici dei laghi, i corsi d’acqua e zone non edificabili per la loro quota o pendenza. In base a questo criterio le regioni quasi completamente montuose come Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta balzano ovviamente in testa con il 19% e il 31% rispettivamente, ma anche i consumi effettivi delle altre regioni aumentano in modo rilevante: spiccano ai primi posti Liguria con il 23%, Campania con il 17% e Lombardia con il 16%. Valori elevatissimi rispetto alla media nazionale che così ricalcolata passa dal 7% all’11%, tra le più alte in Europa. Il documento Ispra sottolinea inoltre come a livello nazionale circa il 2,5% delle superfici considerate non consumabili risulta comunque essere consumato.
Nel rapporto Ispra è riportato anche un interessante confronto tra la carta nazionale del consumo di suolo e la mosaicatura delle aree a pericolosità idraulica media (cioè soggette a eventi poco frequenti, con tempi di ritorno fra 100 e 200 anni). Circa il 9% del suolo in aree a pericolosità idraulica risulta consumato a scala nazionale, mentre a livello regionale spicca ancora la Liguria (con il 30%) per il consumo di aree sia a rischio idraulico sia che si trovano entro i 150 metri dai corpi idrici. Primati che espongono questa regione a un maggiore rischio di alluvioni: quattro negli ultimi due anni.
Tra le province Monza, l’area della Brianza, Milano e Napoli sono coperte di cemento per circa il 30% del territorio amministrato.
A livello comunale, Roma con i suoi 30.000 ettari cementificati ha il primato di consumo in termini assoluti, mentre considerando il consumo percentuale, tra i primi venti Comuni nove sono nel napoletano. Diversi Comuni superano il 50% di territorio consumato e quelli situati nelle province di Napoli, Caserta, Milano e Torino mostrano spesso una tendenza di uso del suolo collegata ai processi di urbanizzazione dei rispettivi capoluoghi di provincia, con i quali vanno spesso a formare un’unica grande metropoli.