Cariplo Factory – l’hub di innovazione creato da Fondazione Cariplo nel 2016 – ha pubblicato “Sustainability Waves | ESG Italian Startups”, il report che analizza il tema della sostenibilità, a partire dall’aderenza ai criteri ESG, all’interno delle startup italiane. Il report – patrocinato dalla Commissione Europea e realizzato con il supporto di player come InnovUp, AIFI, She Tech, Italian Tech Alliance, La Carica delle 101 e Aut Studio – dà voce a oltre 100 startup che hanno risposto all’appello di Cariplo Factory, raccontando le loro storie e il loro approccio alla sostenibilità. I risultati della ricerca restituiscono un quadro molto incoraggiante: le startup italiane sono sostenibili per vocazione, e possono essere d’esempio per le istituzioni e per gli investitori (che, invece, lo sono meno).
“Il report di quest’anno tratta un tema per noi cruciale: la sostenibilità fa parte del nostro DNA essendo Cariplo Factory una benefit company. Per le aziende, oggi, la sostenibilità è un tema strategico: si tratta di una rivoluzione culturale ancora prima che economica e finanziaria. La triplice pressione da parte del mercato dei capitali, delle autorità di regolamentazione e dei consumatori, sta spingendo le aziende a interrogarsi sulle proprie capacità di affrontare il cambiamento in atto. Tra le imprese che sono nate con questa vocazione ci sono senza dubbio molte startup” – ha dichiarato Riccardo Porro, Chief Operating Officer di Cariplo Factory. – Ecco perché il principale obiettivo del report Sustainability Waves | ESG Italian Startups è proprio quello di raccogliere, misurare e divulgare il percorso di alcune di queste startup che sono caratterizzate da tratti distintivi in termini di aderenza ai criteri ESG. Intuizioni, storie, idee e progettualità che potranno fare la differenza, da cui CEO, manager e istituzioni potranno prendere spunto per affrontare le importanti sfide che abbiamo di fronte, come singoli e come collettività”.
Le startup che fanno parte di Sustainability Waves sono aziende di dimensioni contenute ma con tassi di crescita e prospettive significative: l’82% ha meno di 10 dipendenti e solo il 3% supera i 50 dipendenti; oltre il 50% si trova nella fase early stage e growth, mentre il segmento seed e pre-seed supera di poco il 40% del totale. Nella maggior parte dei casi sono aziende in grado di raccogliere investimenti e di proiettarsi già sul mercato nazionale (54% del totale) e internazionale (40%). Oltre il 50% si colloca nella fascia alta (tra il 7° e il 9° livello) dell’Investment Readiness Level, l’indice che misura la maturità della startup per la raccolta di capitali.
Il 57% delle startup del campione sono già società benefit o stanno lavorando per diventarlo, il 38% ha una certificazione B Corp o sta lavorando per raggiungerla, e il 96% dichiara di tenere in considerazione l’impatto dei fornitori o di rinunciare a servirsi di coloro che non rispecchiano i propri valori aziendali e i principi ESG. Il 61%, inoltre, svolge un ruolo attivo tramite processi specifici di coinvolgimento e sensibilizzazione dei clienti sulle tematiche della sostenibilità.
La scelta di adottare i criteri ESG è ancora oggi una conseguenza di ambizioni, motivazioni, obiettivi di carattere ideale: il 52% delle startup intervistate lo ha fatto per il desiderio di agire positivamente, esercitare un impatto e rendere il mondo un posto migliore, mentre “solo” il 24% ha adottato i criteri ESG in seguito a specifiche esigenze dei clienti. Una percentuale ancora inferiore, infine, lo ha fatto per migliorare la reputazione aziendale (8% del totale) o perché costrette dalla crescente pressione normativa (2%).
Non sorprende, tuttavia, che il quadro normativo ancora complesso e confuso, i timori legati al greenwashing, i costi elevati e la scarsa trasparenza di benchmark e indici, abbiano avuto un ruolo importante nel rallentare od ostacolare l’adozione dei criteri ESG in oltre due casi su tre tra quelli analizzati.
Le startup del campione di Sustainability Waves sono particolarmente attive nel presidiare l’aspetto più propriamente “ambientale” dei criteri ESG: oltre il 77% ha attivato programmi di tutela o riduzione dell’impatto prodotto sull’ambiente (a livello di gestione dei rifiuti, di rispetto della biodiversità e utilizzo del terreno o trattamento delle materie prime), mentre il 55% dispone già di tecnologie per la riduzione dell’impatto ambientale. Solo il 16% si è dovuto affidare a un team di esperti per la misurazione di quest’ultimo, mentre il 41% ha creato un sistema interno di gestione e monitoraggio.
Anche per quanto riguarda l’impegno delle startup italiane nel secondo criterio, quello sociale, emergono alcuni spunti che fanno ben sperare per il futuro. Il 60% delle startup è governato da un board composto da più del 50% di donne e il 59% ha un numero uguale o superiore di dipendenti di sesso femminile. Un’azienda su tre ha già creato un codice etico interno relativo ai temi di inclusione, diversità e minoranze, e una su due ha già stretto relazioni con enti di beneficienza o associazioni no profit.
Da rivedere, invece, le azioni messe in campo per rispettare un corretto equilibrio di genere e inclusione professionale: solo il 41% delle startup applica l’equità salariale, il 28% promuove attivamente l’equa rappresentazione di entrambi i generi e meno di una su cinque ha all’attivo attività di sensibilizzazione sull’inclusione, anche se due aziende su tre dichiarano di impegnarsi ad utilizzare un linguaggio inclusivo per le comunicazioni interne ed esterne.
È tuttavia nell’ambito della governance che è lecito aspettarsi i miglioramenti più significativi nei prossimi anni: solo il 16% delle aziende ha attivato policy interne in materia di anticorruzione, il 21% ha implementato procedure e policy per la sicurezza e la salute dei dipendenti che vadano oltre le disposizioni obbligatorie, il 33% ha attivato iniziative per la cybersecurity, e poco più del 53% ha implementato processi di tutela della privacy nei confronti dei propri dipendenti e collaboratori.
Interessante, in questo senso, constatare come il 36% dei fondi e degli investimenti a cui le startup hanno avuto o hanno attualmente accesso aderiscano ai criteri ESG, mentre il 14% non vi aderisca e sul restante 50% le informazioni siano molto limitate o del tutto assenti. Sembra risultarne, a conti fatti, un disallineamento tra la fuga in avanti delle startup verso la sostenibilità e la lentezza degli investitori nell’adeguarsi all’evoluzione dell’ecosistema e specializzarsi a propria volta nel rispetto dei criteri ESG. Ma si tratta di un ritardo già parzialmente superato con l’accelerazione sul tema da parte degli investitori registrata nei primi mesi dell’anno (i dati sono stati raccolti nel corso del 2022).
Non va molto meglio, infine, per quanto riguarda gli investimenti e i sostegni provenienti da soggetti di natura pubblica. Solo il 24% delle aziende dichiara di aver ricevuto investimenti dedicati all’imprenditorialità sostenibile, di cui il 46% dall’Unione Europea e il 42% attraverso contributi per lo più regionali. Eppure, il fabbisogno di liquidità non è affatto soddisfatto: nove startup su dieci sono attualmente alla ricerca di nuovi round, di cui più del 30% da oltre un milione di euro.