AS_5_2018

Automazione e Strumentazione Giugno/Luglio 2018 EDITORIALE primo piano 11 ‘ ’ per l’espressione ‘4.0’ ritengo che la transizione digitale della manifattura abbia una eccezionale rilevanza economica. Oggi si registra tuttavia una strana dissonanza: dopo anni di roboanti promesse emerge una delusione per le mediocri dinamiche del Pil, della produttività e dei salari. Numerose imprese, anche importanti, stanno implementando la transizione con risultati significativi ma tale transizione riguarda solo alcune isole felici e non ha prodotto effetti apprezzabili al livello macroeconomico. Di fronte a questa dissonanza, due conclusioni sono possibili. A) Si può pensare che il piano Calenda abbia fornito un utile sostegno agli investimenti in una fase di de-industrializzazione del Paese (gli ordini interni di macchine utensili sono cresciuti del 45,9% nel 2107 sull’anno precedente) ma che il vero obiettivo di molte imprese che hanno beneficiato del super e dell’iper-ammortamento sia stato ‘semplicemente’ di cogliere un aiuto da parte dello Stato in un momento di grave difficoltà congiunturale. B) In alternativa, si può ritenere - ed io lo ritengo - che la parte più interessante della storia debba ancora accadere. La transizione non richiede semplicemente che le nuove tecnologie siano incorporate in nuovi macchinari: occorre che si rinnovino i modelli produttivi, i prodotti, i modelli di business e i modelli organizzativi e che nuove competenze siano sviluppate. Non basta comprare un nuovo macchinario connesso e ‘premere un bottone’ per trovarsi nell’Industria 4.0: occorre tempo e creatività per attuare la trasformazione in tutte le sue dimensioni. Per esempio, nel caso dei robot collaborativi (Cobot) è riduttivo ragionare solo in termini di sostituzione tra fattori produttivi ed è più interessante ragionare in termini di condizioni affinché nuove forme di complementarietà si affermino. Se l’automazione novecentesca ha spesso portato i lavoratori nell’alienante condizione di chi deve adattarsi alle esigenze delle macchine (si pensi a ‘Tempi moderni’ di Charlie Chaplin) la digitalizzazione in atto pone i lavoratori nella condizione di confrontarsi con macchine sempre più ‘umane’ e, appunto, ‘collaborative’. Ciò pone questioni economiche, organizzative ed etiche radicalmente nuove. La crescente applicazione del machine learning ai processi industriali modifica radicalmente la natura del capitale: le macchine seguono sentieri specifici di apprendimento e apprendono anche grazie alle ‘esperienze’ (successi ed errori) di macchine connesse con loro ma che si trovano anche a migliaia di chilometri di distanza. Il capitale fisico (analogamente al lavoro che accumula un ‘capitale umano’) potrà quindi accumulare una sorta di ‘capitale di conoscenza’ derivante da processi di apprendimento autonomo. Due robot nati identici potranno essere significativamente diversi se esposti a livelli di connessione diversi. Ciò determinerà nuove forme di economie di scala: poche macchine fisicamente situate in un piccolo sito produttivo potranno essere più efficienti se connesse con altre macchine situate in luoghi anche molto remoti. Il futuro lavorativo dei nostri giovani dipenderà dalla qualità dei processi di formazione; saranno importanti non solo le competenze ‘dure’ (scientifiche e tecnologiche) ma anche competenze ‘soft’ e attitudini multidisciplinari capaci di sviluppare in modo creativo le capacità di adattamento al nuovo. Pur con una crescente insofferenza La transizione digitale nella manifattura: un punto di vista economico Direttore del Dipartimento di Economia, Università di Genova Luca Beltrametti

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