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Amore per la chimicaERT


Intervista a Paolo Dellachà, chief executive officer di Industrie De Nora

 

È stato Oronzio De Nora nel 1923 a fondare l’omonima azienda che, dopo 96 anni, è un’eccellenza italiana nel mondo dell’elettrochimica. Grazie ai suoi studi di ingegneria elettrotecnica e alla sua passione per la chimica Oronzio ideò soluzioni geniali: la più conosciuta è l’Amuchina. Sì, l’Amuchina, il più famoso e diffuso disinfettante, è nato nel laboratorio di Oronzio De Nora, a Milano, mentre lavorava a una cella pilota per la produzione di ipoclorito di sodio. Dopo essersi tagliato un dito, immerge la ferita nella soluzione di acqua e sale della cella e solo dopo un paio d’ore, la ferita si rimargina. È lì che Oronzio scopre che l’ipoclorito di sodio prodotto in cella dalla reazione elettrolitica libera ossigeno attivo capace di disinfettare, sterilizzare e provocare la cicatrizzazione. Il nome poi nasce quasi per gioco dal termine greco ferita (muche) con l’aggiunta dell’alfa privativa: amuchina, appunto, senza ferita. Da qui in avanti furono molti i brevetti di Oronzio, ma soprattutto furono moltissimi gli impianti per la produzione di cloro e soda caustica che realizzò, sempre al passo con la ricerca scientifica e la miglior tecnologia dell’epoca. A raccontarci tutto questo è Paolo Dellachà, chief executive officer di Industrie De Nora. Ma perché proprio soda caustica e cloro? “Perché questi prodotti entrano in centinaia di processi chimici e industriali di vario genere, dalla produzione di diversi tipi di materie plastiche alla farmaceutica”.

Paolo Dellachà, chief executive officer di Industrie De Nora

Passato di padre in figlio, il business di Industrie De Nora ora si è espanso progressivamente ai trattamenti galvanici, all’industria mineraria, elettrometallurgica, elettronica, per la quale si realizzano elettrodi che servono alla produzione di metalli utilizzati nei circuiti stampati di tablet e cellulari, all’industria del trattamento delle acque. Racconta Dellachà “siamo diventati leader mondiali nella fornitura di elettrodi per il trattamento delle piscine ad acqua salata dove, invece di dosare prodotti chimici potenzialmente pericolosi, si genera direttamente in situ il principio attivo per la disinfezione, grazie a un processo elettrolitico che parte semplicemente da acqua e sale”.

“L’azienda, unitamente a un percorso tecnologico di grande leadership, è riuscita, in alcuni casi in modo pioneristico, a compiere un percorso di internazionalizzazione importante, pur restando un’entità di dimensioni medio-piccole. Quest’anno, per il primo anno nella nostra storia, toccheremo il mezzo miliardo di euro di fatturato. Solo dieci anni fa avevamo un fatturato di circa 130-140 milioni di euro. Siamo cresciuti in quest’ultimo decennio sicuramente grazie a processi di acquisizione ma anche e soprattutto grazie alla conquistata leadership e autorevolezza tecnologica a livello mondiale”.

De Nora ha avviato il suo percorso di internazionalizzazione prima di molte altre aziende italiane. Oronzio infatti, già negli anni ’60, partì alla volta del Giappone per promuovere le sue tecnologie e fu in grado di gettare le basi per una joint-venture con la giapponese Mitsui. Lo stesso fece in Asia, Sud America e in tutti i paesi industrializzati.

Un importante strumento per la crescita societaria sono state le acquisizioni “consapevoli che la dimensione dell’azienda è importante perché ti permette di essere presente in ogni Paese del mondo o almeno in parti rilevanti per noi” sottolinea Dellachà. “L’azienda proprio grazie a processi di acquisizioni e fusioni è cresciuta considerevolmente nell’ultimo decennio. Ha acquisito, alla fine del 2010, proprio in Giappone, il 50% della joint-venture fatta con il gruppo Mitsui negli anni ‘60, e nel 2011 ha acquisito tutta la piattaforma elettrochimica. In realtà è stata una scelta molto coraggiosa da parte di De Nora perché abbiamo acquisito un’entità che era grande il doppio di noi, con tutti i problemi di integrazione e riorganizzazione annessi. Una parte poi di questa piattaforma acquisita da Mitsui è stata conferita, qualche anno dopo, in una nuova joint-venture con Thyssenkrupp Uhde. È nata quindi la Thyssenkrupp Uhde Chlorine Engineers che realizza nuovi impianti nello specifico ambito del cloro-soda”.

Per tutta la vita dell’azienda sono stati fatti enormi sforzi stati orientati alla sostenibilità dei processi produttivi. De Nora ha, infatti, sempre fornito ai suoi clienti prodotti capaci di dare rilevanti vantaggi in termini di consumi energetici. “L’azienda si è da sempre impegnata a migliorare tecnologicamente i suoi prodotti e i suoi processi al fine di far risparmiare energia in modo considerevole ai suoi clienti. Ma ha anche cercato di fornire soluzioni ecosostenibili, sviluppando tantissimi progetti che fossero in grado di convertire tecnologie obsolete o estremamente inquinanti e in alcuni casi anche molto dannose, in prodotti e soluzioni nuove. Nel 2015 poi abbiamo fatto la scelta strategica di investire molto nel trattamento dell’acqua: un’altra scelta rivolta alla sostenibilità dal punto di vista ambientale. Tutti conosciamo i problemi di gestione dell’acqua a livello globale. Anche il trattamento dell’acqua ha un impatto energetico rilevante nei consumi di un paese. Molte volte si è parlato ad esempio di dissalare l’acqua di mare come soluzione alla sua scarsità. Certo è una tecnologia nota, noi la facciamo, ma il problema è l’elevato costo e consumo energetico che tale tecnologia comporta. La sfida è quindi quella di trovare soluzioni che portino a un vero bilancio positivo dal punto di vista energetico e di economia circolare”.

“L’evoluzione della società ha portato De Nora a essere forte nell’ambito dell’elettronica realizzando elettrodi per produrre rame per i circuiti stampati, o per le batterie al litio che stanno diventando una componente fondamentale per la mobilità. Altro importante settore di sviluppo è l’uso dell’elettrochimica nel comparto dello stoccaggio delle energie rinnovabili. Nella nostra visione si parla di Redox Flow Battery, batterie a flusso idonee allo stoccaggio di grandi quantità di energia per usi stazionari. Ma soprattutto si parla già di idrogeno come vettore energetico idoneo a stoccare il surplus di energia fornito in determinati periodi dalle rinnovabili. Quando la necessità di stoccare l’eccesso di energia elettrica prodotta da impianti eolici o solari è veramente elevata (dell’ordine delle decine di Megawattora) e questo deve essere fatto per periodi di tempo prolungati, non si può più pensare di utilizzare delle batterie, bisogna trasformala in qualcosa che a sua volta si possa immagazzinare e riutilizzare. Ecco che la scelta ricade sull’idrogeno. L’idrogeno è un combustibile che una volta generato da fonti rinnovabili (sarà 100% green) potrà essere utilizzato in maniera versatile in più campi, garantendo la decarbonazione di interi settori dell’industria.

Semplificando, possiamo dire che idrogeno e ossigeno si ricavano dall’acqua e dall’energia pulita proveniente dal sole o dal vento attraverso un particolare processo di elettrolisi. L’ossigeno può essere reimmesso nell’aria mentre l’idrogeno diventa vettore energetico o alimentazione per tutta una serie di processi industriali. Già oggi si produce idrogeno e lo si consuma in parecchi processi dell’industria chimica e dei combustibili. C’è una grande differenza però tra generare idrogeno con tecnologie come la ‘steam methane reforming’ che immette nell’atmosfera elevate quantità di anidride carbonica e invece la possibilità di generarlo da fonti completamente rinnovabili senza creazione di ulteriori quantitativi di gas serra”.

Una grande sfida. L’azienda ha infatti messo a punto proprio una tecnologia altamente performante per la generazione di idrogeno verde che, secondo alcuni studi referenziati, sarà elemento fondamentale della futura transizione energetica globale che si svilupperà probabilmente a partire dal 2025-2030. Una volta generato, l’idrogeno verde può essere usato in moltissime applicazioni come ad esempio la mobilità. “In effetti si stanno già realizzando auto a idrogeno con cella a combustibile (fuel cell), ma qui il processo avviene al rovescio di quanto abbiamo descritto in precedenza: idrogeno e ossigeno si ricombinano grazie agli speciali elettrodi di cui la fuel cell è fornita, generando energia elettrica (con alta efficienza) e immettendo nell’atmosfera solo vapore acqueo. L’idrogeno può essere poi materia prima da utilizzare ad esempio per la produzione di prodotti chimici che risulterebbero pertanto ‘green’: parliamo di metano, metanolo, ammoniaca, urea, usate per i fertilizzati, e parliamo di combustibili sintetici che si potranno usare come carburante per aeroplani o navi. Oppure possiamo pensarlo come combustibile sostituto del metano o del carbone in processi particolarmente energivori come quelli del settore siderurgico” sottolinea Dellachà.

“Un altro ambito di ricerca dove De Nora sta lavorando è quello dell’ecosostenibilità: stiamo creando tecnologie per la cattura e la trasformazione della CO2. Facciamo parte di consorzi internazionali per la ‘carbon dioxide sequestration’ e la sua riduzione a prodotti di alto valore aggiunto. I nostri sforzi vanno nella direzione di riuscire a catturare efficacemente la CO2 e trasformarla in qualcosa di utilizzabile, facendola ritornare a essere una materia prima per la produzione di prodotti chimici a basso impatto ambientale”.

Due sono quindi le sfide innovative su cui De Nora si sta concentrando: da una parte lo stoccaggio di energia pulita nel modo più efficiente possibile, dall’altra, la trasformazione per via elettrochimica dell’anidride carbonica.

Certo ci vuole molto impegno, ricerca, determinazione ma soprattutto servirebbe un maggiore impegno da parte dei governi, come sottolinea Dellachà. “La tecnologia legata all’idrogeno potrà decollare velocemente a condizione che i governi comincino a favorire in maniera concreta queste tecnologie a discapito di quelle analoghe che partono da combustibili fossili. Nessun paese avrà interesse a cambiare radicalmente le proprie produzioni e industrie rendendole green senza un vero incentivo nel farlo. Tutto è legato a fattori economici. Basterebbe cambiare una sola variabile in questa grande equazione per fare la differenza. Sì, ci vuole coraggio affinché le nuove tecnologie pulite possano finalmente decollare ed essere applicate in maniera massiva sui territori. Se si ‘regala’ la possibilità di inquinare (in assenza ad esempio di una qualsiasi forma di carbon tax o di incentivo per le tecnologie green), la barriera di ingresso sui mercati per nuove tecnologie pulite risulta notevolmente elevata”.

“In questo grande e complesso quadro di forze e reazioni che può determinare il nostro futuro, De Nora è solo un fornitore di tecnologie. Collaboriamo attivamente con il Ministero dello Sviluppo Economico, come molte altre grandi aziende italiane, nel tentativo di dare il nostro contributo e la nostra visione strategica affinché questo processo globale di transizione energetica veda l’Italia e l’Europa protagoniste e affinché si possa assistere a una progressiva accelerazione di tutto questo nei prossimi anni grazie soprattutto all’introduzione di giuste leggi e meccanismi di incentivazione”.