L’Isac-Cnr contro le polveri ‘sahariane’

Pubblicato il 31 agosto 2015

L’Europa è regolarmente raggiunta da aria proveniente dal Sahara, che porta con sé le frazioni più fini delle sabbie desertiche, e l’Italia si trova al centro di queste correnti, con ondate di calore e le note ricadute di ‘piogge rosse’ che spesso concorrono al superamento dei limiti di legge sanzionati dall’Europa per il PM10, ovvero l’insieme di polveri inquinanti di diametro inferiore a 10 µm, quindi facilmente inalabili. “È scientificamente dimostrato che l’inalazione di queste particelle è associata a un aumento della mortalità e a effetti negativi sulla salute: recenti studi su Roma hanno evidenziato un legame tra gli aumenti di PM10 dovuti agli eventi sahariani e ospedalizzazioni per problemi respiratori e cerebrovascolari”, ricorda Gian Paolo Gobbi dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac-Cnr). “Sempre agli aumenti del PM10 durante gli eventi sahariani sono stati associati incrementi nella mortalità per problemi respiratori e cardiaci”.

Il progetto ‘Diapason’ (Desert-dust impact on air quality through model-predictions and advanced sensors observations), coordinato dall’Isac-Cnr e finanziato dal programma europeo Life+ 2010, ha l’obiettivo di identificare le polveri di origine ‘naturale’ per defalcarle dal computo annuo del PM10 e ottenere così un notevole risparmio di denaro pubblico sulle sanzioni comminate per il superamento. “Abbiamo sviluppato un innovativo sistema semi-automatico per raccogliere, organizzare e memorizzare le informazioni necessarie per l’identificazione delle polveri di origine sahariana”, prosegue il ricercatore Isac-Cnr. “In particolare, il software analizza le informazioni raccolte, crea un database degli eventi sahariani e quantifica i loro effetti sui livelli di PM10. Il sistema è distribuito gratuitamente alle agenzie per la qualità dell’aria”. Gli studiosi inoltre, in collaborazione con alcune aziende europee, hanno sviluppato sistemi laser-radar automatizzati in grado di sondare l’atmosfera fino a 10 km di altezza e riconoscere la presenza di nubi di polveri minerali.

“Tuttavia, lavare le strade prima delle ore di punta durante e dopo gli eventi sahariani e chiudere il traffico prima del superamento dei parametri di legge, sulla base di previsioni modellistiche, e non a sforamento avvenuto, rimangono le più semplici ed efficaci forme di prevenzione”, sottolinea Gobbi. A livello nazionale si evidenzia come la concentrazione di PM10 associata a tali eventi sia maggiore nelle vicinanze delle grandi arterie stradali, in particolare quelle del Nord, sempre a causa della risospensione delle polveri da parte del traffico.

“Uno studio che abbiamo effettuato nel Lazio quale regione ‘dimostrativa’ utilizzando Diapason ha mostrato che nel 2004-2014 il carico medio di PM10 è diminuito da 48 a 26 µg/m3, in funzione sia di variazioni meteo sia della crisi economica, che ha comportato un minore utilizzo delle automobili. Nel medesimo decennio il carico annuo di polveri di origine sahariana è sceso da 1.9 a 1.6 µg/m3 nelle aree rurali e da 2.3 a 1.1 µg/m3 nell’area urbana di Roma: riduzioni che hanno portato ad una diminuzione del 60-70% dei superamenti della soglia sanzionabile di 50 µg/m3”, conclude il ricercatore. Il problema non è però risolto. “Per il 2020 le concentrazioni di PM10 sono previste in risalita di circa il 15%. E, ad oggi, 12 delle 37 stazioni di misurazione dell’inquinamento dell’aria laziale registrano più dei 35 superamenti annui fissati dalla Ue come limite, mentre 10 stazioni, di cui 5 a Roma, presentano più di 40 superamenti per anno”.

Foto: Nasa



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